Al via la Tobin Tax, un boomerang sui risparmiatori

Al via la Tobin Tax, un boomerang sui risparmiatori

La fuga di capitali da Piazza Affari non ci sarà, ma la tassa sulle transazioni finanziarie, entrata in vigore oggi, potrebbe colpire duramente i risparmiatori nel tentativo di limitare la volatilità degli scambi. Oggi, secondo i dati di Borsa Italiana, sono stati scambiati 206mila contratti per un controvalore di quasi 2 miliardi di euro, poco meno rispettivamente dei 225 e 236mila contratti riferiti agli ultimi due giorni: sull’azionario non c’è dunque ombra di fuga dei capitali.

La Tobin Tax, che l’Italia ha varato nel corso dell’anno assieme alla Francia, mentre gli altri Paesi – Germania in primis – continuano a procrastinarla, riguarda essenzialmente tre categorie di strumenti finanziari: azioni, derivati e il trading ad alta frequenza (High frequency trading o Hft), dove sono le macchine a comprare e vendere enormi quantità di titoli in frazioni di secondo, in base ad algoritmi che stimano l’andamento del mercato. In generale, si applica alle società che abbiano una capitalizzazione di borsa superiore ai 500 milioni di euro, le cosiddette blue chip. La lista delle operazioni escluse dalla Ftt è lunga: successioni, donazioni, operazioni sui bond, le operazioni di riacquisto e di finanziamento con l’emissione di titoli, le operazioni con la Bce e la Bei come controparte e le operazioni sulle quote degli organismi d’investimento collettivo del risparmio.

Per quanto concerne le azioni, il decreto attuativo emanato dal ministero dell’Economia una settimana fa prevede un’aliquota dello 0,2% del valore della transazione, ridotta allo 0,1% nei casi in cui l’operazione venga eseguita in un mercato regolamentato. Aliquote che, solo per il 2013, saliranno rispettivamente dello 0,22% e dello 0,12 per cento. Per l’Hft il balzello è invece pari allo 0,02% del valore degli ordini annullati o modificati relativi a transazioni su azioni e su strumenti finanziari partecipativi nonchè a operazioni su derivati soggette alla Ftt che superino il 60% del valore degli ordini eseguiti. Sui derivati, infine, la tassa entrerà in vigore a partire dal prossimo luglio e prevede un importo fisso a seconda della tipologia di strumento e al valore del contratto derivato, e ssarà ridotta di un quinto se l’operazione sarà eseguita in un mercato regolamentato e non over the counter (non regolamentato). 

Obiettivo della tassa sulle transazioni finanziarie è cogliere i proverbiali due piccioni con una fava: raffreddare il mercato rendendolo meno volatile da un lato, e fare cassa dall’altro. Peccato che – al netto degli allarmismi di alcuni operatori, che stimano un costo di 50mila posti di lavoro – la tassa su Piazza Affari presenti diverse controindicazioni. La prima riguarda l’efficienza del mercato: se la Ftt ricade sul groppone di chi compra, la curva della domanda cambierà di conseguenza, e dunque il prezzo finale al quale il venditore riuscirà a concludere la transazione rifletterà il balzello. Quanto ciò sgonfierà ulteriormente un listino asfittico come il Ftse Mib – effettuando meno operazioni o con una minore quantità di azioni – al momento è presto per dirlo. I rischi, a detta degli intermediari, sono limitati, se non altro fino a quando i market mover rimarranno quotati in Italia e non faranno la scelta di Prada, che ha preferito quotarsi ad Hong Kong. 

La ratio del legislatore è duplice: da un lato rendere sconvenienti le transazioni sulle piattaforme non regolamentate (Otc) – secondo i dati della Banca dei regolamenti internazionali (Bri), al giugno 2012 i contratti derivati sui mercati Otc mondiali hanno toccato un valore nozionale di circa 639mila miliardi di dollari – dall’altro mantenere un equilibrio coerente con il gettito di 1 miliardo di euro atteso dal Tesoro, che tra l’altro ha previsto un calo delle contrattazioni del 30% sull’azionario e dell’80% sui derivati.

E proprio sui derivati la confusione è maggiore: la gabella va versata ogni volta che il sottostante relativo al contratto sia scambiato in Italia, anche quando le controparti non siano residenti in Piazza Affari. «È come se un cinese e un coreano scommettessero sul colore della cravatta di Bersani, ma dovessero pagare una tassa all’Italia perché Bersani è italiano», è la considerazione di un esperto del settore. In altri termini: i titoli scambiati sul mercato italiano sono soltanto un parametro. Futures, warrant, Cfd sono solo alcuni degli strumenti che saranno colpiti con questa logica. La società di revisione Oliver Wyman, ad esempio, ha calcolato che l’applicazione della Ftt su base europea, Regno Unito incluso, potrebbe costare una riduzione del valore nozionale lordo giornaliero degli scambi da 1.600 miliardi di dollari a 400 miliardi sul Forex, il mercato valutario. 

«Quando è stata introdotta l’euroritenuta, la direttiva sul risparmio prevedeva la comunicazione dei pagamenti degli interessi tra soggetti residenti in Stati diversi, le autorità comunitarie si aspettavano un gettito significativo che non c’è stato», spiega a Linkiesta Francesco Guelfi, partner e responsabile della practice Tax a Milano presso Allen & Overy, che continua: «Il motivo sta nella complessità del monitoraggio da parte delle agenzie delle entrate dei singoli Paesi. Vedo la medesima complessità sulla Tobin Tax». «Più che introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie», riflette Guelfi, riflette Guelfi, «sarebbe stato più semplice aumentare un po’ l’Iva, che è un sistema già conosciuto dalle banche anche per bilanciarne gli effetti negativi circa l’indetraibilità dell’Iva sugli acquisti».

I danni collaterali della Tobin Tax, infatti, finiscono nelle tasche dei risparmiatori. Sebbene l’attività di market maker delle banche è esclusa, la Ftt punta dritto al trading proprietario, dal quale deriva gran parte degli utili degli istituti di credito nel corso del 2012. I quali, con il costo del funding all’ingrosso in salita per via del non risultato elettorale, non è escluso si possano rivalere aumentando le commissioni sugli impieghi a famiglie e imprese. L’ultimo bollettino Bce evidenzia infatti nell’ultimo trimestre del 2012 è aumentata, seppure leggermente, la percentuale delle banche che hanno dichiarato un inasprimento delle condizioni alle quali viene concesso credito dalle Pmi, dall’11 al 12% del totale. Oltre al costo – che però rappresenta anche nuove opportunità di lavoro – di adeguare l’infrastruttura informatica per separare nettamente le attività di market making e di trading proprietario. Per vedere il primo gettito bisognerà aspettare il prossimo 16 aprile: l’imposta per i trasferimenti di proprietà di titoli – o dell’ordine annullato o modificato sull’Hft – va versata entro la metà del mese successivo. 

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