Oggi la rivolta siriana compie due anni. Due anni dall’inizio delle prime manifestazioni a Daraa, piccola città del sud. Gli abitanti scesero in piazza per protestare contro l’arresto e la tortura di un gruppo di bambini colpevoli di aver tracciato alcuni graffiti anti-regime sui muri della loro scuola. Alcuni di essi tornarono a casa feriti e traumatizzati dopo giorni di detenzione e abusi. Altri non tornarono, o tornarono morti.
In questi giorni il secondo anniversario di questa rivolta trasformatasi in conflitto civile viene macabramente celebrato con un’altra vicenda agghiacciante: ad Aleppo, sulle sponde del piccolo fiume Queiq che attraversa la città, da alcune settimane hanno cominciato ad affiorare numerosi corpi che si vanno ad ammassare sulla piccola spiaggia che da sul quartiere Bustan al-Qasr, in mano ai ribelli.
Tutto è iniziato alla fine di gennaio, quando i primi corpi hanno cominciato a essere rivenuti. Inizialmente si pensava a vittime degli scontri a fuoco tra esercito del regime e ribelli che da mesi insanguinano la città, finiti nel fiume per caso. Ben presto però si è cominciato a capire che si trattava di qualcos’altro, qualcosa di assai peggiore. I corpi hanno cominciato a diventare decine, molte decine. Il 30 gennaio se ne erano contati già ottanta, allineati su una piccola ansa del fiume. Tutti con segni di torture e tutti uccisi con un proiettile di grosso calibro in testa.
Gli abitanti del quartiere, aiutati dai combattenti ribelli della zona, si sono affrettati a rimuovere i cadaveri dalla spiaggia, per identificarli e seppellirli. Alcuni di essi erano troppo sfigurati per poter essere riconosciuti, mentre alcuni sono stati identificati come combattenti ribelli catturati nei giorni precedenti, o come civili che erano stati arrestati dalle forze di sicurezza del regime.
“Fiume della Morte” o “Fiume dei Martiri”. Questi i nuovi nomi che il Queiq ha assunto da qualche settimana. Dopo alcuni giorni in cui sembrava che la tragici ritrovamenti si fossero interrotti, gli affioramenti sono ripresi a ritmo quasi giornaliero. Le vittime sono ormai oltre 140, tutti uomini, perlopiù tra i 20 e i 40 anni. L’ipotesi ritenuta più probabile è che i corpi provengano da alcuni conpound delle forze di sicurezza del regime, localizzati poco più a monte nel fiume.
Dopo i bombardamenti mirati alle code per il pane, il “Fiume della Morte” sembra un nuovo crudele strumento terroristico escogitato dal regime per seminare panico nella popolazione di Aleppo, città cruciale per l’andamento del conflitto, affinché diventi troppo terrorizzata per appoggiare i ribelli.
Nel frattempo proseguono le difficili manovre in ambito internazionale per trovare il bandolo della matassa della crisi siriana. Aumentano le pressioni sulla Coalizione Nazionale Siriana (Cns) – l’organo rappresentativo dell’opposizione fondato a Doha a novembre 2012 e formato sia da forze laiche che da forze islamiste – perché formi un governo provvisorio nelle regioni attualmente in mano ai ribelli.
Soprattutto Russia e Stati Uniti spingono per questo passo. Il loro obiettivo è ottenere la creazione di una forma istituzionale embrionale per le regioni liberate che possa trattare alla pari con il regime di Assad e portare così ad una risoluzione negoziata del conflitto. A questa soluzione si oppongono però le forze più radicali dell’opposizione, che rifiutano qualunque trattativa col regime. Lo stesso leader del Cns Moaz al-Khatib, un islamista moderato e propenso alla negoziazione con elementi del regime, si è detto contrario alla formazione dell’esecutivo di transizione che secondo lui potrebbe aumentare le divisioni e le tensioni tra le forze ribelli.
Ancora nessuna soluzione definitiva in vista quindi, grazie anche ai veti incrociati delle forze regionali e internazionali coinvolte, dall’Iran all’Arabia Saudita, passando per Turchia, Qatar e Hezbollah libanese. E mentre i giochi di potere mediorientali non sembrano potersi ricomporre in fretta, a due anni dai primi cortei di Dara’ continuano ad accumularsi i cadaveri sulle sponde del “Fiume dei Martiri”.