«All’eurozona serve uno shock per riprendersi»

«L’avvio del controllo dei capitali sembra un’uscita de facto di Cipro»

Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna, Cipro. Negli ultimi tre anni l’eurozona è dovuta intervenire a più riprese per evitare il peggio. E quasi sicuramente il bailout di Cipro non sarà l’ultimo della serie. Nonostante sia stato ridotto il rischio di convertibilità emerso fra 2011 e 2012, le sfide per l’eurozona rimangono elevate. Ne abbiamo parlato con Paolo Manasse, docente di Macroeconomia all’Università di Bologna. Per ora, sia in ambito italiano sia su quello comunitario, la strada da fare è ancora molta.

Il salvataggio di Cipro è da considerarsi come un precedente per l’eurozona?
Io sono abbastanza perplesso. Stiamo assistendo a qualcosa di inedito, questo è sicuro. Misure di controllo dei capitali in genere vengono introdotte nei casi di bank-run, ma anche crisi valutarie, come successo anni fa in Malesia. Tuttavia, mosse come queste sono sempre state fatte da Paesi con sovranità monetaria. Questa volta no, dato che le limitazioni sono state introdotte all’interno di un Paese facente parte di una vasta area valutaria. Questo è il punto abbastanza strano. La logica è sempre la stessa: preservare la sicurezza ed evitare il capital flight. A differenza della Malesia, o degli altri casi passati, non c’è nessuna svalutazione, ma la ricerca di evitare il contagio. Nei casi standard di solito avviene un deprezzamento del tasso di cambio, in quello di Cipro no. Per certi versi questa fattispecie assomiglia a un’uscita de facto di Cipro dall’eurozona. E questo è preoccupante.

Cipro può essere considerato un esperimento?
Difficile dirlo, ma c’è un aspetto politico particolare che non deve essere dimenticato. In questo caso è stato possibile selezionare il tipo di haircut per depositanti, dato che era molto più facile capire quali fossero i flussi di capitale, prevalentemente esterni all’Ue. In altre parole, si è fatto una sorta di default selettivo sui depositi russi e nella sostanza i costi sono stati scaricati fuori dall’eurozona.

Quindi è vero che Cipro è un caso unico, come ha detto il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem?
È vero nel senso che una soluzione così facile non sarebbe possibile per altri Paesi. A differenza di Cipro, gli altri sistemi finanziari all’interno della zona euro molto più interconnessi. Nel caso si facesse un haircut sui depositi, o altre misure introdotte a Cipro, si andrebbero a toccare interessi fortissimi. Allo stesso tempo è probabilmente vero che c’erano più incentivi a massacrare i capitali russi, soprattutto al fine di salvaguardare tutti gli altri. Del resto, non sembra esserci un contagio, almeno per ora. Si parla della Slovenia, ma le differenze sono enormi e non è possibile paragonare le due situazioni.

Come può sopravvivere l’eurozona se ci si accorda con difficoltà perfino su Cipro e all’orizzonte ci sono le elezioni tedesche? Che fine farà l’unione bancaria?
Cipro ha sottolineato la lentezza dell’Ue nella gestione delle criticità. Come sempre si è dovuti arrivare a un passo prima del disastro per trovare la soluzione. Eppure quella proposta negli ultimi mesi mi sembra l’unica unione bancaria disponibile, ovvero un sistema centrale guidato dalla Bce. E ogni tanto, nelle crisi bancarie, bisognerà far pagare tutti, con il bail-in. Purtroppo in sede europea non si parla di bad bank, di risoluzione bancaria, di garanzia sui depositi. Insomma, ci sono troppi interessi particolari, ma non è solo un problema della Germania. Sull’unione bancaria anche i francesi sono molto oltranzisti. I Paesi europei vogliono tutelare i singoli interessi nazionali e c’è una resistenza fortissima sulla trasmissione delle informazioni. Forse ci vorrebbe una grande crisi, uno shock significativo, per avere i giusti incentivi per portare avanti le riforme strutturali che servono all’eurozona.

La Bce per adesso ha fatto il lavoro sporco all’interno dell’eurozona, specie con l’introduzione delle Outright monetary transaction, il programma di acquisto bond governativi. Eppure il meccanismo di trasmissione della politica monetaria è ancora rotto. In altre parole, le differenze fra cuore e periferia ci sono ancora.
La storia del meccanismo che si era rotto è una buona giustificazione per aggirare i critici, vedi Germania e Bundesbank, da sempre contrari a un bailout degli Stati attraverso la Bce. Dal punto di vista sostanziale, quello che sta succedendo è un classico riflesso di fuga verso la qualità da parte degli investitori. E questo accade sempre quando c’è la percezione che alcuni Paesi siano più sicuri di altri in una stessa area valutaria. Questi Paesi, nel caso dell’eurozona la Germania soprattutto, si avvantaggiano e non c’è meccanismo di trasmissione della politica monetaria che tenga.

Fino a quando durerà questo stato di calma apparente?
Sono perplesso sulla durata di questo effetto. Ho timore che lo schema introdotto dalla Bce funzioni fino a quando non è testato dai mercati. Una volta che un Paese chiederà gli aiuti e firmerà il memorandum of understanding, il castello crolla. Questo genere di schemi funzionano sulle aspettative. E quando la Bce dovrà intervenire, gli scenari politici saranno interessanti: ci saranno pressioni fortissime su Francoforte nel caso di attivazione di OMT, specie prima delle elezioni tedesche.

Proviamo a dare delle previsioni sull’Italia. Prendiamo tre fattori – conti pubblici, governo e credibilità internazionale – e proiettiamoli fra un anno, a fine marzo del 2014. Quali scenari?
È chiaro che avere un governo stabile sarebbe la cosa migliore, specie perché la sua influenza di rifletterebbe sia sui conti pubblici sia sulla credibilità del Paese. Tuttavia, avere una maggioranza forte non esclude un peggioramento dei conti, nel caso la congiuntura sia molto cattiva. Questo perché, e l’esperienza di Mario Monti lo può confermare, molte riforme strutturali hanno un impatto iniziale negativo. Si pensi alla riforma delle pensioni, che come effetto di breve termine ha una riduzione dei consumi. Le prospettive sono due: o andiamo verso una paralisi politica che a quel punto è deleteria perché l’Italia sarebbe come un autobus che gira senza un pilota. Oppure si elegge un nuovo presidente della Repubblica con governo di scopo, poi si torna alle elezioni. A questo punto Monti potrebbe fare un passo indietro. Contestualmente Matteo Renzi potrebbe prendere il posto di Pier Luigi Bersani alla guida del Partito democratico e, convogliando i voti di Monti, ci sarebbe margine per la vittoria netta di un nuovo centrosinistra moderato, anche senza cambiamento della legge elettorale. In pratica, non è possibile uscire dall’impasse senza una soluzione come questa. In caso contrario, si entrerebbe in una spirale davvero complicata per il Paese. 

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