La crisi della zona Euro non accenna a rientrare e il caos cipriota non fa che aumentare i timori internazionali sulla tenuta economica della regione. E così, riuniti a Durban per il quinto vertice formale i leader dei Brics, paesi emergenti dalle economie poderose, dopo anni di discussioni caratterizzate da tentennamenti, hanno finalmente deciso di passare ai fatti.
Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, creeranno un fondo di riserva cui potranno attingere reciprocamente in caso di carenza di liquidità. Intervento che, sottolineano, verrà messo su in brevissimo tempo. Quel che però doveva rappresentare il vero passo in avanti nell’integrazione delle economie dei Paesi coinvolti, e cioè mettere mano alla istituzione di un banca di sviluppo con partecipazione di tutti i Brics, non è arrivato. Diverse le posizioni delle singole potenze, e diversa la prospettiva di uso dei fondi e di composizione del capitale.
Da un lato Brasile, Cina e Sudafrica, vicine e sulla stessa lunghezza d’onda, dall’altro la Russia che ha frenato in maniera decisa. E se sull’economia si è avuta una vittoria a metà, dal punto di vista politico si è assistito alla nascita di un nuovo allineamento. E la volontà del presidente russo Vladimir Putin, è passata in larga parte. Stretto tra un possibile intervento internazionale in Siria che lo vedrebbe perdere un alleato nel mediterraneo, unito all’emergenza a Cipro che tanto ne colpisce gli interessi in quella stessa regione, punta a trovare alleanze strategiche proprio con i partner del potente blocco trans continentale.
Non è un caso che, molto animato prima della partenza per il Sudafrica, Putin abbia affermato di dare grande importanza alla bozza di una dichiarazione congiunta su un’ampia gamma di dossier internazionali: dalla Siria, all’Afghanistan, passando dall’Iran e dal Medio Oriente. Successo diplomatico arrivato puntuale con la dichiarazione a conclusione dei lavori, nella quale si è sottolineato che “non esiste alternativa a una soluzione negoziata al problema del nucleare iraniano” e si è stigmatizzata la preoccupazione “dei rischi di un’azione militare e di sanzioni unilaterali in Siria”, per la cui vicenda resta una “profonda inquietudine di fronte al deteriorarsi della situazione di sicurezza e umanitaria”. Uno spunto comune forte, che suona come una forte presa di posizione contro l’Europa, ma anche parzialmente contro gli interessi e le posizioni statunitensi nella regione, storicamente contrapposte a quelle di Mosca.
Gli accordi di Durban
Dal punto di vista economico, invece il cambiamento è meno forte. Appare evidente però che con i mercati finanziari in subbuglio, le voci di rischi default in crescita, e la domanda europea mediamente in calo, le potenze emergenti abbiano voluto muoversi autonome per correre ai ripari creando un fondo di riserva destinato a soccorere il gruppo in caso di necessità. Il Contingent Reserve Arrangement, sarà attivato con un patrimonio iniziale di 100miliardi di dollari. Il maggiore contributo sarà quello della Cina, proporzionate al peso della sua economia. Pechino sborserà 41miliardi di dollari. Pari quote per Russia, India e Brasile con 18 miliardi. Minore sarà il contributo sudafricano con 5 miliardi.
Quello su cui tutti concordano è che il fondo sarà approvato rapidamente. Più lento sarà invece il cammino che porterà alla costituzuione della Banca di sviluppo, pure messa sul tavolo a Durban in maniera più concreta. A distanza di un anno dalle ultime discussioni in merito, quest’ultima iniziativa prende forma, rimanendo però ancora sulla carta. Secondo le previsioni la Banca dovrebbe essere costituita il prossimo anno e diventare operativa entro il 2016, ma è sulle cifre del contributo iniziale e sugli scopi che l’accordo manca ancora di dettagli. L’apporto iniziale dovrebbe essere di circa 50 miliardi, divisi in maniera equa tra i partecipanti. Ed è proprio questo che non trova tutti d’accordo, sia per chi vede di buon occhio una contribuzione proporzionata al peso economico, sia per i Russi che cercano un buon compromesso tra la possibilità di sfruttare lo strumento e il non concedere troppo ai cinesi.
Il Brasile, assetato di denaro da investire nelle carenti infrastrutture, avrebbe infatti ceduto alle posizioni della Cina. La Russia dal canto suo, non pare intenzionata a vedere crescere ulteriormente il peso di Pechino in Africa. Perchè è nel continente nero, sullo struttamento e gli investimenti nei paesi emergenti che si gioca la partita dei Brics. Non a caso il summit di Durban si è chiuso con l’incontro tra i presidenti dei Brics e i leader dei paesi africani, occasione nella quale le potenze economiche apriranno linee di credito per i paesi africani. Con il rischio, paventato da olti osservatori internazioneli, che si possa assistere a un nuovo colonialismo.
Obiettivo Africa
Attualmente il 42% degli investimenti dei Brics è ancora destinato ai Paesi sviluppati, con un 34% verso l’Unione europea. Secondo i dati Unctad, conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo, quello che più muoverà gli investitori verso l’Africa, è la possibilità di entrare in nuovi mercati, con fusioni e acquisizioni, che tra il 2010 e il 2012, hanno accumulato 105 miliardi di dollari. Nonostante la percentuale destinata ai mercati sviluppati, il report mostra la tendenza all’aumento della partecipazione dei Brics negli investimenti africani. Nel 2010 il gruppo ha investito 10 miliardi nel continente per il 25% del flusso di capitale straniero nel continente. Chi guida la lista è certamente la Cina. Nonostante l’attiva diplomazia brasiliana di avvicinamento ai Paesi e l’ottimo rapporto tra il gigante sudamericano e il continentenero, questo non si riflette proporzionalmente in campo economico.
La maggiore spregiudicatezza delle aziende del dragone, paga molto di più e Pechino, resta di gran lunga il maggior investitorre del Paese, soprattutto per la dipendenza dall’importazione di alimenti e materie prime. Gli altri Paesi del Brics sono comunque tra i 20 principali investitori in Africa. L’india ha intesessi importanti alle Mauricius e il Sudafrica beneficia della sua localizzazione geografica. La Russia ha invece interessi crescenti e investimenti nel settore minerario.
Prospettive
Nel corso degli anni la prospettiva economica dei Paesi rinuiti nell’acronimo Bric è molto cambiata. Secondo i dati dello Undp, Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, per la prima volta in 150anni le economie di Brasile, Cina e India insieme, si eguagliano a quelle di Canada, Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti. Nel 1950 i tre emergenti rappresentavano il 10% dell’economia mondiale, e i paesi industrilizzati totalizzavano il 50%.
Ora le proiezioni indicano che da qui al 2050 solo Brasile Cina e India rappresenteranno il 40% del prodotto interno lordo mondiale. E non è un caso che con questi numeri in circolazione, l’ex presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva abbia dichiarato che l’Onu “è superata” dalla congiuntura mondiale, reclamando l’ingresso del Brasile e di altre potenze regionali nel Consiglio di Sicurezza. “Non si giustifica più la mancata partecipazione di Paesi latinoamericani, africani, della Germania e dell’India nel Consiglio di sicurezza”. Un chiaro messaggio alle vecchie potenze in declino.