CERNOBBIO – Basta austerity, dateci la crescita. Nel giorno del downgrade inaspettato a BBB+ del debito italiano da parte dell’agenza di rating Fitch, è questo il grido che esce dalla prima giornata del Workshop Ambrosetti di Cernobbio. La crescita che manca, la recessione che peggiora di giorno in giorno, il credit crunch che morde le imprese e l’instabilità politica dell’Italia sono i temi che più preoccupano i presenti. Il bello è che l’Italia, almeno nel breve termine, non è data come il prossimo epicentro della crisi europea. La brutta notizia è che potrà esserlo se non si trova un governo stabile che possa continuare con le riforme. E sullo sfondo c’è sempre un’eurozona che naviga a vista nel mezzo della crisi, appoggiandosi sulle spalle della Banca centrale europea.
Il clima di Cernobbio – nebbia e freddo – riflette al meglio ciò che sta passando il Paese. Lo stallo politico è grave e rischia di compromettere l’operato di Mario Monti come presidente del Consiglio. Del resto, anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha chiamato i leader politici a una adozione di responsabilità: «La crisi non aspetta, l’Italia si dia governo». Parole che sono arrivate anche sul lago di Como, nonostante la quasi totale assenza di politici, policymaker ed esponenti della finanza che conta.
«L’Italia, mai come oggi, ha bisogno di misure per la crescita economica». Chi parla è Jim O’Neill, presidente di Goldman Sachs Asset Management, che non ha in mano la ricetta per far uscire il Paese dalla recessione, ma sa che si potrebbe fare molto di più. Il dilemma è capire in che modo è possibile ribilanciare gli squilibri fra le singole aree economiche. Da un lato ci sono le economie occidentali, che soffrono della debolezza dell’economia, amplificata dal calo della domanda aggregata di beni e dalla politica di consolidamento fiscale resosi necessario dopo gli eccessi degli ultimi vent’anni.
Il tempo dell’austerity è quindi finito. Ora tocca alla crescita, ma non si sa ancora con quali risorse. Lo ha detto anche Nouriel Roubini, l’economista rockstar che è stato fra i primi a notare gli squilibri del mercato immobiliare statunitense fra 2002 e 2006. «L’eurozona sta affrontando uno sforzo troppo grande. Senza un ritorno alla crescita, sarà difficile migliorare l’outlook per l’anno in corso», ha detto. In questo clima, l’Italia gioca un ruolo da protagonista. Il motivo è facile da capire. La terza economia del continente ha adottato diverse misure di austerity nel corso dell’ultimo anno. E, questa è l’opinione comune, potrebbe essere legittimata a chiedere un rallentamento nel processo di consolidamento fiscale a livello europeo. Conditio sine qua non: avere un governo stabile.
Lo scenario più vicino alla realtà è però quello di un governo di minoranza guidato dal Partito Democratico. Pier Luigi Bersani ha presentato il suo piano di otto punti ed è probabile che sia questa la linea del Paese per i prossimi mesi, almeno fino a quando non arriverà il momento della legge di bilancio per il prossimo anno. In quel momento, l’ingovernabilità di fatto del Paese verrà a galla e costringerà il Paese a nuove elezioni.
Per adesso, ma anche nel medio-lungo termine, l dibattito cruciale è però un altro. Come mettere in campo risorse per gli investimenti, dato che la coperta è troppo corta? «È questo il problema: non ci sono soldi», dice uno dei pochi banchieri italiani nella lobby di Villa d’Este. Stretta tra il consolidamento fiscale e il calo della domanda da parte dell’Asia, l’eurozona si ritrova in una situazione potenzialmente critica. Su una cosa sono tutti d’accordo. È ancora presto per parlare di ripresa. L’Italia vivrà un altro anno di recessione e forse solo fra un anno ci sarà un parziale ritorno in positivo del Pil. «Ma da lì a parlare di espansione economica ce ne passa, quella si vedrà forse nella seconda metà del 2015», continua il banchiere.
Sebbene lo scenario macroeconomico non sia uno dei più entusiasmanti, su una cosa quasi tutti sono d’accordo. Il ritorno all’imprenditorialità, specie nei periodi di crisi, è quello che servirebbe. Così ha detto Valerio De Molli, managing partner di Ambrosetti, introducendo le prime sessioni di lavori, raccogliendo umori positivi. È tuttavia difficile invertire la rotta della “Balance sheet recession” in cui sono entrate diverse economie avanzate. Come ha spiegato durante i lavori del forum Richard Koo, capo economista di Nomura, ogni bolla finanziaria o legata al mercato real-estate può potenzialmente causare una recessione. Colpa del loro radicamento sistemico e della loro virulenza in caso di scoppio. L’impatto di questo genere di recessione è prolungato e può innescare fenomeni di esplosione di bolle dormienti. «Siamo solo a metà del percorso», ha scritto Koo in una nota dello scorso gennaio. L’economia globale sta infatti vivendo un momento di transizione. E il ribilanciamento degli attori economici, Occidente da un lato e Asia dall’altro, non è ancora terminato. Per la serie, potrà finire anche l’austerity, ma i pericoli restano invariati.