BRUXELLES – «Tutto troppo lento, il percorso è troppo lento». Il clima del Consiglio europeo è quello dei giorni peggiori. La divisione fra cuore e periferia dell’eurozona è sempre più elevata. La strada da intraprendere è poco chiara anche a chi dovrebbe essere il leader in grado di portare l’eurozona fuori dalla più grave crisi della sua storia. E lentamente, ma con una progressione che per ora non conosce freno, il declino avanza.
Parlando di cosa succederà nei prossimi mesi, un economista della Commissione europea è stato molto tranchant. «Questo non è un collasso, è un declino senza fine verso l’oblio», dice. Da un punto di vista etimologico ha ragione: il collasso è una flessione improvvisa, il declino no. Eppure, ci sono tutte le caratteristiche per considerare l’eurozona alla stregua di una bolla speculativa.
Cerchiamo di mettere in prospettiva i prossimi mesi. Da risolvere ci sono le elezioni italiane, il cui esito è stato tanto inconcludente, quanto destabilizzante. Le possibilità sul campo sono diverse: una grande coalizione fra Partito democratico e Popolo della libertà, una fra Pd e Movimento 5 stelle, un esecutivo tecnico, il ritorno alle urne. Quella più probabile, stando alle analisi politiche degli esperti, è l’ultima opzione. Ed è anche possibile che si torni a votare con l’attuale legge elettorale, che di fatto rende ingovernabile il Senato. L’Italia quindi è destinata forse alla terza opzione, quella dell’esecutivo tecnico? Forse sì, specie se la tensione sui mercati finanziari tornerà a essere elevata. Ma a quel punto ci sarà il problema sociale. Gli italiani, già stanchi dell’austerity e della mala politica, come reagiranno? Se è vero ciò che gira in ambienti diplomatici, e cioè che i rischi sociali sono molto elevati, l’Italia potrà rivivere giorni neri come la pece, contribuendo a far traballare il progetto europeo.
Ci sono poi le elezioni tedesche, previste per settembre. L’attuale cancelliere Angela Merkel è destinata a vincere, dicono in ambienti europei. Ma avrà bisogno di una grande coalizione per continuare a governare. Il problema, nuovo per la Germania, è il clima anti-europeista che sta avanzando con vigore. Un esempio è quello di Alternative für Deutschland, in cui è presente anche Hans-Olaf Henkel, ex presidente della Confindustria tedesca. E parlando con diversi diplomatici tedeschi, l’impressione è che l’intolleranza della Germania nei confronti di diversi Paesi sia sempre più elevata. Un esempio? L’intolleranza verso l’Italia non è mai stata così alta come in questi giorni. Il clima di sfiducia e rabbia – un gran numero di tedeschi è convinto che l’Italia chiederà aiuto all’Ue e che Berlino dovrà sborsare altri soldi – è quello prevalente. Anche la Merkel dovrà fare i conti con questo sentimento e dovrà affrontarlo, sia prima sia dopo le elezioni. Vale la pena ricordare che senza il supporto della Germania, è difficile che l’eurozona possa diventare adulta. Non basta l’azione della Banca centrale europea per risolvere squilibri che durano da 50 anni.
Infine, le elezioni europee del 2014. Quello sarà il vero banco di prova della nuova Europa, che deve peraltro ancora nascere. Dato che la recessione accompagnerà i Paesi membri ancora per buona parte del 2013 e non sono attesi rimbalzi significativi, è nella primavera del 2014 che si deve guardare. Il populismo arriverà anche in Europa, in quello che per molti, Beppe Grillo compreso, è il cuore di tutti i problemi? E cosa succederà a quel punto? La frammentazione del voto politico italiano, ma anche quello ellenico dello scorso anno, sta mostrando ai politici europei quanto è grave l’attuale crisi.
O meglio, bisognerebbe smettere di chiamarla crisi e iniziare a chiamarla con il suo vero nome: esplosione di una bolla. Se osserviamo la fenomenologia delle bolle speculative, c’è sempre un periodo di boom, in cui un determinato asset si apprezza oltre il reale valore, e un periodo di bust, in cui avviene lo scoppio. Prendendo in esame l’eurozona, e la fiducia che gli investitori hanno riposto in questo animale zoppo e senza testa negli ultimi decenni, questo scoppio è evidente a partire della metà del 2008, quando iniziarono le prime tensioni finanziarie nel mercato interbancario. Colpa di Lehman Brothers, si disse, ma la realtà ci sta dimostrando che è vero solo in parte. Il crac della quarta banca americana ha solo amplificato un fenomeno che già c’era: la divisione dell’eurozona fra Paesi forti e Paesi deboli, in cui i primi foraggiano i secondi tramite trasferimento di ricchezza. Gli investitori hanno creduto che tramite l’introduzione di una moneta comune, nazioni con economie diversissime come Italia, Grecia e Germania potessero livellare il singolo rischio-Paese.
Questo è avvenuto, ma solo fino a quando il giocattolo non si è rotto. In altre parole, non bastava avere una moneta comune per essere tutti uguali. E come spesso accade, l’economia è arrivata prima della politica. Inoltre, gli investitori hanno creduto che Paesi sottoposti a stringenti vincoli fiscali (vedasi i parametri del trattato di Maastricht) potessero essere immuni dalle crisi economico-finanziarie a tal punto da non aver bisogno di un meccanismo di gestione delle criticità. Infine, gli investitori hanno creduto che, in caso di crisi, la risposta dell’Europa sarebbe stata unica, europea. Non solo questa è stata lenta e impregnata su interessi particolari, cioè nazionali, ma è anche stata errata nella forma e nella sostanza. Dapprima si è utilizzato il negazionismo, poi si è passati all’attacco di pochi attori, come gli investitori, al fine di giustificare le pecche interne. Strano metodo per gestire una crisi.
L’impressione è che ci sveglieremo fra alcuni anni – fortunato chi sa fra quanto – con una nuova eurozona. Più piccola, forse più segmentata. Forse più unita, dato che saranno diminuiti gli squilibri finora esistenti. I grandi cambiamenti necessitano di grandi sacrifici, tuttavia. Ecco il perché di tutta la preoccupazione per il clima sociale all’interno dell’area euro. Non è un caso che ieri, non certo per la prima volta, di fianco alla sede del Consiglio Ue diversi manifestanti (contro l’austerity, ovviamente) si sono scontrati con la polizia. E non è un caso che i controlli di sicurezza per entrare nei palazzi delle istituzioni europee siano sempre più serrati. Alcuni fra i più radicali funzionari comunitari sperano in una “Primavera europea” in grado di porre fine a questo limbo fatto di inconcludenza politica e ribilanciamento dei vincoli di spesa. Difficile che però sia questa la soluzione per l’eurozona, il vero malato d’Europa. È più probabile che il limbo continui ancora e ancora. Almeno fino al 2014.