A poche ore dalla direzione nazionale del Pd, dove il segretario Pier Luigi Bersani riproporrà «il governo per il cambiamento del Paese», volano gli stracci in casa democratica. In apparenza Bersani mostra tranquillità, va dritto per la sua strada – oggi ha completato il primo giro di consultazioni con le parti sociali -, ma sa benissimo che potrebbe avere le ore contate. I segnali che giungono dall’esterno creano scompiglio nell’inner circle del segretario, ed enfatizzano le distanze fra le varie anime dei democratici.
I primi contraccolpi di giornata al premier incaricato, sono arrivati dal presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, che dalle colonne di Repubblica, in una lunga lettera inviata al direttore ha espresso l’esigenza «di una responsabilità generosa di tutte le forze politiche e sociali, per dare al Paese un governo per combattere il perverso matrimonio tra crisi economica e politica».
Il secondo contraccolpo, che fa tremare il piano di Bersani, arriva dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano, l’ombra invalicabile di questi primi colloqui del segretario Pd. L’inquilino del Colle, infatti, senza colpo ferire «nell’ultimo atto pubblico ufficiale del settennato», in una cerimonia di commemorazione dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, lascia intendere come al netto di un eventuale governo a guida Bersani il Paese abbia bisogno in ogni caso di un esecutivo: «Abbiamo bisogno di unità, ma anche di pensare adesso all’interesse generale del Paese e di dare continuità alle nostre istituzioni democratiche».
Ecco perché il cammino del segretario si fa sempre più difficile. Il leader del centrosinistra è accerchiato. I fedelissimi lavorano sotto traccia per trovare «la quadra» con tutte le altre forze parlamentari. Mentre Bersani continua ad agognare un’apertura grillina (o leghista) capace di svincolarlo dal bacio dela morte berlusconiano, i tavoli aperti sono più di uno, e le trattative, stando ad un insider del Nazareno, sono ancora tutte in corso. Tant’è che a tarda sera proprio il Carroccio, per bocca di Gianluca Pini, lancia un segnale di apertura al leader del Nazareno: «Oltre i tatticismi che fanno parte della liturgia delle consultazioni più o meno formali di Bersani, per noi il nocciolo della questione è la condivisione delle idee del professor Miglio sposando il concetto di macroregione. Se Bersani smette i panni del talebano e veste quelli della persona ragionevole allora si può fare un discorso». Sulla stessa lunghezza d’onda è lo stesso pidiellino Altero Matteoli: «Bersani non riesce a capire che sono il Paese, le famiglie e chi produce e intraprende ad attendere risposte da lui. Il suo procedere nell’incarico ricevuto dal Capo dello Stato è invece tutto rivolto al Pd che appare diviso e drammaticamente spaccato. Non esiste la possibilità di un governo, il cui programma e la cui azione siano condivisi a spezzoni dalle forze politiche presenti in Parlamento». Per questo motivo i giochi sulle trattative restano ancora aperti. Ma il segretario Pd, probabilmente influenzato da alcuni consiglieri di lungo corso, alza le barricate all’ipotesi di un governissimo con il Pdl, prova a sfilarsi. «No, ad un governo della concordia, ma solo corresponsabilità sulle riforme istituzionali», precisa a più ripresa ai cronisti.
Ma lo spazio resta davvero strettissimo, tanto più che strada facendo il segretario inizia a disperdere chi sembrava orientato a sostenerne un governo a sua guida: i montiani sempre più recalcitranti e «indisponibili a sostenere governicchi». A precisarlo è direttamente Luca Cordero di Montezemolo, leader di Italia Futura, associazione confluita all’interno di Scelta Civica, che forse teme una partita solitaria di Monti: «senza Pdl – precisa il presidente della Ferrari – non sosteniamo Bersani».
Tutto questo bolle in pentola a poche ore dall’avvio del caminetto democrat, al quale prenderà parte tutto lo stato maggiore del Nazareno. Il Pd, non è un mistero, appare logorato dal post-elezioni e, come assicurano da più parti, rischia addirittura l’«implosione». «O gli sherpa c’hanno fra le mani la sorpresa, altrimenti andranno sbattare», sono gli umori che circolano tra le fila democratiche. Ad esempio l’idea che, non andasse in porto l’eplorazione di Bersani si tornerebbe alle urne, trova contrari la maggioranza del partito. Graziano Del Rio, presidente dell’Anci, e renziano di ferro, l’ha detto chiaramente dalle colonne di Repubblica: «Non c’è la possibilità di sottrarsi, Pd e Pdl non possono fare i capricci se il Presidente della Repubblica chiede un governo di scopo». Un’affermazione che ha scatenato le ire del giovane turco Stefano Fassina, acuendo sempre più il vecchio scontro fra bersaniani e renziani: «È grave che, in ore decisive per la costruzione di un Governo, una parte del Pd intervenga per indebolire il tentativo del Presidente incaricato Bersani prospettando una possibile maggioranza con il PdL per un ‘Governo del Presidente». Parole durissime, anche se, come spiega a Linkiesta il senatore Nicola La Torre, «secondo me la direzione voterà compatta l’iniziativa di Bersani e gli darà carta bianca». D’altronde, scherza un renziano, «la direzione sarà in diretta streaming, e quindi non succederà nulla». Semmai, mormora un ex democristiano, «finirà in caciara quando le telecamere verranno spente, e sopratutto quando Bersani andrà a schiantarsi contro il muro di Napolitano. Il vecchio vuol vedere i numeri. E ad oggi Bersani ha in mano un pugno di mosche».
@GiuseppeFalci