Mentre Pier Luigi Bersani cerca fino all’ultimo minuto un accordo ormai insperato con i Cinque Stelle, il sindaco di Firenze riunisce nella capitale 51 parlamentari e prova a far ripartire la cosiddetta “Renzi-machine”. È vero: “Matteo” resterà fedele alla «ditta». In più di un’occasione avrebbe ripetuto: «Fino all’ultimo minuto mi comporterò come un bravo soldatino». Chiaro. Vuole impiegare questi giorni a non mischiarsi ai giochini sugli organigrammi di Camera e Senato perché, come spiegano a Linkiesta, «è evidente che sarà lui il prossimo candidato premier del centrosinistra».
Ma prima di essere il candidato delle «secondarie», per usare un’espressione di Massimo D’Alema, Renzi dovrà vincere le primarie. E la prima domanda che si è posto in queste settimane è stata la seguente: «Perché abbiamo perso le primarie lo scorso due dicembre?». Renzi ha chiaro che non è stato percepito da una parte importante del popolo delle primarie. Sopratutto, dall’ala sinistra dell’elettorato democratico che ha mal digerito la candidatura di un «ex boy scout» di estrazione margheritina. Addirittura un dalemiano di ferro arriva a dire: «Ha capito che se non recupera un po’ di immagine di sinistra può rischiare di perdere».
E in questa fase proverà a scimmiottare Ed Milliband, il leader della sinistra liberal inglese, pur avendo tutti i connotati antitetici della tradizione sinistra. L’idea di Matteo Renzi è quella di continuare a cavalcare i temi principali cari alla prima e alla seconda edizione della Leopolda, come ad esempio la “rottamazione”, o l’abolizione dei finanziamenti pubblici ai partiti, seguendo in tal modo l’onda grillina. E potendo rinfacciare: «Io ho anticipato Grillo».
Ma per dare anche un’impronta più sinistra alla piattaforma programmatica della prossima campagna elettorale rimetterà al centro il tema del “lavoro”. Come racconta a Linkiesta un renziano di ferro come Matteo Richetti, «lo scheletro del ragionamento di Matteo sarà il seguente: da un lato puntare sulla crisi industriale, sull’alto tasso di disoccupazione giovanile, e sul rifinanziamento degli ammortizzatori sociali, e dall’altro sul fatto che la pubblica amministrazione non paga le aziende, e ciò potrebbe causare la perdita di 300 mila posti di lavoro». Ecco perché proprio oggi Graziano Del Rio, presidente dell’Anci, e uno dei fedelissimi di Matteo Renzi, ha detto che «quello dei ritardi dei pagamenti alle imprese è un fenomeno che sta letteralmente stritolando il tessuto produttivo del settore delle costruzioni, mettendo a rischio la sopravvivenza delle imprese operanti nel mercato dei lavori pubblici ed estendendo i suoi effetti devastanti su tutta la filiera. Una pratica che crea i presupposti per l’insolvenza di migliaia di imprese e la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro».
Al momento la materia non è stata delegata ad alcun docente universitario. La piattaforma, come assicurano dallo staff del sindaco di Firenze, «verrà presentata tra fine aprile e maggio», ma «sarà qualcosa di innovativo, di certo non sarà uguale a quella di Fassina», precisano. Yoram Gutgeld, senior partner e direttore di McKinsey, è un economista, quota Renzi, eletto alla Camera in questa tornata. Sarebbe lui il guru economico dell’ex rottamatore, che starebbe «portando un po’ di scenari interessanti». E a quattro mani con Graziano Del Rio definirà la piattaforma economica della prossima campagna elettorale.
Ma al Nazareno sospettano già che Renzi stia danneggiando i democratici. La riunione dei 51 parlamentari di oggi, in un noto hotel di Roma, ha enfatizzato la distanza fra l’ex rottamatore e la vecchia nomenclatura. E c’è già chi giura che Renzi con il drappello di 51 parlamentari, non solo abbia costituito un vero e proprio partito all’interno del Pd, ma addirittura potrà condizionare l’elezione del prossimo Capo dello Stato.
@GiuseppeFalci