Un 2012 “in sofferenza” per le banche italiane. La crescita dei crediti dubbi, degli accantonamenti, la moral suasion di Bankitalia e i suoi nuovi criteri prudenziali. Infine, l’obbligo di riclassificazione degli sconfinamenti, passato l’anno scorso da 180 a 90 giorni. Tutto previsto, già prezzato dal mercato che tratta a sconto i titoli bancari rispetto agli istituti spagnoli. Eppure, ieri, la reiterazione delle ipotesi di una bad bank in salsa tricolore hanno suscitato la reazione piccata di Giovanni Sabatini, direttore generale dell’Abi, la lobby dei banchieri italiani, il quale ha spiegato come le proposte si fondino «su un presupposto non corretto. Noi siamo in una situazione diversa dalla Spagna».
Il termometro per capirlo, al netto della bolla immobiliare iberica, sono due istituti che tra ieri e stamani hanno pubblicato i risultati del 2012, il cui core business rimane l’Italia: Intesa Sanpaolo e Ubi Banca. Intesa, la principale banca domestica del Paese e la più esposta al rischio sovrano con 90 miliardi di titoli del Tesoro in portafoglio, ha stanziato 4,7 miliardi a copertura dei rischi creditizi – cifra in salita dell’11% sul 2011 – più un cuscinetto da 2,5 miliardi sui crediti in bonis. Come ha spiegato nel corso della conference call il consigliere delegato Enrico Cucchiani, l’istituto non deve effettuare «nessuna rettifica significativa» sulle politiche di accantonamento, assicurando che i rilievi di via Nazionale «non impattano sui prossimi trimestri». L’esame dell’ispezione, insomma, sarebbe stato superato.
Tuttavia, il tasso di copertura di Ca’ de Sass, che nel 2012 è ritornata in nero segnando un utile di 1,6 milioni, la metà del quale se ne andrà in dividendi (con un payout del 52%, 5 cent per le ordinarie e 61 per le risparmio) è sceso al 44,9% sul 45,7% del 2011, «per effetto della cessione di sofferenze e della nuova normativa in merito ai crediti scaduti», si legge nella nota sui risultati dell’anno. Il riferimento è agli 1,6 miliardi di sofferenze lorde pro soluto di cui la banca si è liberata in cambio di 270 milioni di euro da incassare subito. In ogni caso, nota l’istituto, la copertura è comunque superiore alla media dei concorrenti italiani, che al 30 settembre scorso si sono fermati al 31,8 per cento. Nonostante un quarto trimestre in rosso per 83 milioni.
Spulciando la presentazione agli analisti, si nota tuttavia un dato che desta qualche preoccupazione: il complesso dei crediti deteriorati è salito in un anno del 25%, a 28,4 miliardi di euro. Di questi, le sofferenze – cioè i crediti che andranno perduti a causa dell’insolvenza del debitore – sono salite nel 2012 a 11 miliardi rispetto ai 9 del 2011, con un grado di copertura del 124% considerando le garanzie reali e personali. Le quali, in base ai modelli interni di Intesa, sono calcolati al valore di mercato se si tratta di titoli, mentre se si tratta di immobili le perizie avvengono ogni tre mesi.
Più complessa la situazione di Ubi banca, che ha chiuso il bilancio in utile per 82,7 milioni (e un dividendo di 5 centesimi), dopo gli 1,8 miliardi di perdita del 2011. Dalle parti di Bergamo, tra poco più di un mese, andrà in scena un’assemblea degli azionisti a dir poco decisiva per il rinnovo della governance dell’istituto: il presidente del consiglio di gestione, Emilio Zanetti, terminerà il suo mandato, il numero uno di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, non vuole mollare la presa, nonostante le dimissioni per incompatibilità, per preservare la brescianità dell’istituto, mentre sono in salita le quotazioni del presidente di Centrobanca Andrea Moltrasio, bergamasco. L’alleanza tra l’Associazione azionisti di Ubi Banca dell’ex deputato Pdl Giorgio Jannone e i soci cuneesi di Tradizione in Ubi potrebbero spostare gli equilibri. Impresa & Territorio, espressione dei piccoli industriali, e Insieme per Ubi, riconducibile alla Fondazione Banca del Monte di Lombardia, si pongono invece come ago della bilancia.
In questo quadro di lotte intestine, il capitolo sofferenze è una nota dolente. Nei conti 2012 diffusi questa mattina, che mostrano rettifiche per 55 milioni «principalmente riconducibili alla svalutazione della partecipazione in Intesa Sanpaolo», il complesso dei crediti deteriorati della banca lombarda sale a 8,1 miliardi rispetto ai 6,3 del 31 dicembre 2011. Di questi, le sofferenze nette sono aumentate da 2,48 a 2,95 miliardi, con una copertura in calo al 42,6% rispetto al 43,3% del 2011. Una riduzione, specifica l’istituto in una nota, che «deve essere letta con l’accresciuta incidenza delle posizioni garantite in via reale (che rappresentano il 63,6% delle posizioni lorde a sofferenza rispetto al 60,6% di dicembre 2011), che richiedono minori rettifiche e con l’incremento delle pratiche spesate a conto economico (cosiddetti “stralci”) cresciute di circa 140 milioni di euro nell’anno».
Tuttavia, la copertura delle posizioni prive di garanzia reale nel 2012 è del 77,2 per cento. Traducendo: se un piccolo artigiano bergamasco va in default, dei mille euro che la banca gli aveva prestato ne torneranno indietro soltanto 772. Una probabilità che potrebbe verificarsi nel 36,4% dei casi (soltanto il 63,6% delle posizioni è coperta da garanzie reali, come un capannone). C’è da dire che la disavventura di Ubi Leasing, oggetto di una severa ispezione della Banca d’Italia nei mesi scorsi, ha portato in dote incagli (posizioni di creditori in temporanea difficoltà, ndr) per 3,6 miliardi, mentre Banca 24/7 quasi 300 milioni di ulteriori crediti dubbi.
Per quanto concerne gli stralci, Ubi assieme al Banco Popolare è l’unico istituto che preferisce trarre un beneficio fiscale immediato nello stralciare la posizione di un creditore in default – immediatamente deducibile – rispetto alle svalutazioni, deducibili ma limitatamente allo 0,30% dei crediti in bilancio. La quota eccedente a quel limite si può dedurre, ma nell’arco di 18 anni, e nel frattempo viene calcolata nell’attivo della banca. Esempio: un creditore deve 100 euro alla banca, ma fallisce. La banca aveva precedentemente accantonato 70 euro per coprire la perdita. Risultato? Quei 70 euro sono deducibili ai fini fiscali, ma i rimanenti 30 euro non saranno coperti da alcun accantonamento, e dunque abbasseranno il tasso di copertura.
Qualunque metodo si applichi, il risultato cambia poco: sommando i crediti dubbi di due delle cinque banche italiane per capitalizzazione – due banche essenzialmente domestiche – si superano i 36 miliardi di euro. Ecco perché c’è molto nervosismo, tra i banchieri, quando periodicamente torna alla ribalta la soluzione bad bank.