Cipro, 24 ore all’alba per decidere del suo destino

I giorni decisivi di Nicosia

La settimana più lunga di Cipro non è ancora finita. Il peggio potrebbe ancora arrivare. Ci sono ancora 24 ore per salvare la piccola isola del Mediterraneo. Infatti, come ha spiegato il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, i ministri europei delle Finanze si riuniranno domani sera alle 18 per decidere se approvare il “Piano B” proposto dal governo cipriota, approvato ieri sera in larga parte. Misure di controllo dei capitali, ristrutturazione delle due principali banche del Paese e creazione di un fondo di solidarietà forse non basteranno. La corsa contro il tempo è per trovare almeno 18 miliardi di euro. Questo è quanto serve, secondo le ultime stime, per salvare Nicosia. Ed è ancora tutta da discutere la tassa sui depositi bancari, anche se l’ultimo piano del governo avrebbe l’appoggio della troika, come riporta Reuters. 

Dopo l’approvazione dell’Eurogruppo della scorsa settimana, ci si attende un’altra lunga notte. Per la precisione, quella fra domenica e lunedì. Dopo il vertice europeo di venerdì scorso, che su spinta del governo cipriota ha introdotto la misura suicida del prelievo forzoso dai conti correnti, il presidente Nicos Anastasiades ha fatto sapere che il dibattito intorno a questa imposta sarà fatto solo dopo il prossimo vertice europeo sul tema. Dopo una settimana di dibattiti e rilanci, ieri sera si è tornati alla prima idea, tassa del 6,75% per i depositi sotto i 100.000 euro e del 9,9% oltre questa cifra. Nelle ultime ore si è trovato un accordo che riscchia di essere pesantissimo. Imposta del 20% per tutti i depositi sopra i 100.000 euro per i correntisti di Bank of Cyprus e del 4% per tutti i depositanti delle altre banche. Una via che andrebbe bene anche alla troika composta da Commissione Ue, Bce e Fondo monetario internazionale, ma non è ancora finita.

Il prossimo passo lo deve fare l’Ue. Al vaglio dei tecnici ci sono le misure introdotte nella notte di ieri dal Parlamento di Nicosia. Il vicepresidente della Commissione Ue ha detto che forse un accordo fra troika e governo cipriota sarà già raggiunto nella mattinata di domenica, aggiungendo di non essere a conoscenza di ciò che ha riportato Reuters. In altre parole, ci vuole ancora molto prima di affermare che Cipro è salva. In primis, come spiegano fonti europee, si deve valutare se il programma di ristrutturazione bancaria è conforme alla regole comunitarie. Nello specifico, la Commissione Ue vuole capire se la creazione di due diverse bad bank, una per la Cyprus Popular Bank e una per la Laiki Bank, è possibile da un punto di vista legislativo. Solo dopo si passerà alla valutazione della sostenibilità finanziaria dell’operazione. Nel caso gli asset inesigibili fossero troppi, è facile che arrivi un parere negativo all’operazione. In altre parole, il governo cipriota dovrà formulare una nuova proposta.

L’Ue analizzerà poi il fondo di solidarietà, creato appositamente per sostenere il Paese. Questo avrà un valore compreso fra 1,5 e 2 miliardi di euro e raccoglierà risorse sia dai vari fondi previdenziali ciprioti (anche se il governo pare vicino a una retromarcia) sia dalle donazioni della chiesa ortodossa. Come ha detto nel pomeriggio di ieri l’arcivescovo di Cipro Chrysostomos II «la chiesa è pronta a fornire tutto quanto in suo possesso per aiutare la nazione in questo drammatico momento».

Infine, il capitolo più spinoso: le limitazioni alla circolazione di capitale. Il Parlamento cipriota ha discusso a lungo se introdurre misure di controllo dei capitali. Il governatore della Banca di Cipro, Panicos Demetriades, per giorni ha spiegato ad Anastasiades che non c’erano alternative a una soluzione drammatica come questa. «Demetriades ha parlato a lungo, avvertendo tutti del pericolo che senza misure di questo genere c’era il rischio che finissero i soldi nelle casse delle banche dell’isola», spiega un funzionario della Commissione europea a Linkiesta. Lo stesso aggiunge che «è tutto previsto dalle normative europee attualmente vigenti». In effetti, secondo l’articolo 65 del trattato sul funzionamento dell’Ue, è possibile introdurre misure di limitazione alla libera circolazione dei capitali, seppur in via del tutto eccezionale e giustificabile. Misure prudenziali, finanziarie e di pubblica sicurezza: ecco le tre ragioni che hanno portato il presidente Anastasiades a scegliere un’opzione così estrema.

Per la prima volta nella storia dell’eurozona sono quindi state introdotte misure di capital control in uno Stato membro. Misure minori, ha lasciato intendere la Commissione Ue, furono introdotte per gestire i casi di Northern Rock nel 2007 e di Dexia negli ultimi anni, due banche che avevano rilevanza sistemica per i rispettivi mercati, britannico e franco-belga. Troppi i rischi di corse agli sportelli ancora più forsennate di quelle degli ultimi giorni, in cui si sono viste code fino a 60/70 persone per singola filiale bancaria. 

La Bce per ora rimane sullo sfondo. Dopo la minaccia di tagliare il canale dell’Emergency liquidity assistance (Ela), il programma emergenziale per la fornitura di liquidità da parte delle singole banche centrali nazionali, attende le decisioni del governo cipriota. E circola voce, specie nei corridoi della Commissione europea, che farà davvero tutto quanto detto ha ipotizzato. «Certo, se staccasse la spina dell’Ela, il rischio è che le banche cipriote possano saltare», dice un funzionario di Palazzo Berlaymont. «Ma nel caso non lo facesse, perderebbe di credibilità», aggiunge. La domanda cruciale per i prossimi giorni sarà solo una: Mario Draghi sarà pronto a fare qualsiasi cosa per salvare l’euro? 

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