Cipro, laboratorio per i nuovi salvataggi bancari

Dijsselbloem: «Quello cipriota è un modello per l’eurozona». Poi, la rettifica

Senza precedenti. Il salvataggio sarà ricordato come il primo esempio di bail-in su larga scala a livello europeo. Mai prima d’ora si era infatti deciso di salvare le banche di un Paese, in questo caso Bank of Cyprus e Laiki Bank, tramite un salvataggio interno. A patire le conseguenze più pesanti di questa decisione saranno probabilmente le piccole e medie imprese cipriote. In altre parole, l’economia dell’isola, che secondo Société Générale si contrarrà del 20% nei prossimi quattro anni. Proprio per questo l’arcivescovo di Cipro, Chrysostomos II, ha invocato l’uscita dall’euro del suo Paese.

Che la situazione non fosse facile lo ha chiarito oggi il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso. «Cipro ha di fronte a sé una sfida immensa», ha detto nella consueta conferenza stampa di metà giornata. Il rischio, e la Commissione Ue ne è consapevole, è che l’impatto del salvataggio di Cipro possa essere devastante per l’economia del Paese. Tuttavia, come ha ribadito pochi giorni fa il cancelliere tedesco Angela Merkel, l’isola del Mediterraneo ha dovuto rendersi conto che «il proprio modello di business è morto». Stop al paradiso off-shore (ma all’interno dell’area euro), basta alle banche zombie i cui asset complessivi valgono otto volte il Pil di Cipro, porte chiuse a chi vuole utilizzare Nicosia come crocevia per il riciclaggio di denaro.

Per l’eurozona il bail-in è il nuovo nero, adatto a tutte le stagioni e per tutte le situazioni. Lo ha detto espressamente il presidente dell’Eurogrouppo Jeroen Dijsselbloem. «Quello di Cipro è un modello per l’eurozona», ha detto l’olandese. Parole che hanno fatto declinare i mercati europei, che stamattina avevano aperto in positivo sull’onda dell’accordo su Nicosia. «È giusto che le banche debbano essere in grado di salvarsi da sole», ha inoltre aggiunto Dijsselbloem. Gli investitori non hanno preso bene queste dichiarazioni, considerate dai più come un’ammissione di frenata nel processo di integrazione europea che dovrebbe portare, entro pochi anni, alla creazione di una piena unione bancaria su base comunitaria. Solo in serata è arrivata la parziale rettifica: «Sono frasi usate fuori dal contesto originario, per Cipro non è stato usato alcun modello».

Il bail-in può funzionare in duplice modo, ma con un obiettivo solo: ricapitalizzare dall’interno le banche problematiche. Nato intorno al 2010 su indicazione dell’Association for financial markets in Europe (Afme), la lobby finanziaria europea, questa pratica prevede che gli obbligazionisti della banca in questione diventino azionisti della banca stessa. Ci può essere una conversione forzosa dei bond sottoscritti, in base a un accordo fra regolatore, banca e sottoscrittori dei bond, oppure dei depositi, come nel caso di Cipro. Nella fattispecie italiana, è difficile che si arrivi a colpire direttamente i depositanti: prima ci sono gli azionisti e gli obbligazionisti.

Attraverso il bail-in la banca viene ricapitalizzata, ma gli oneri vengono spalmati non sui contribuenti, ma chi ha investito nella banca in questione. Una via che può essere tanto positiva quanto negativa. Dipende molto dallo status dell’investitore. Sull’onda dell’introduzione del bail-in come standard per il salvataggio degli istituti di credito sono anche nati strumenti capaci di soddisfare questa esigenza. Nello specifico, i Contingent convertible bond, o Cocos. Si tratta di obbligazioni specifiche, ad alto rendimento, che possono essere convertite in azioni ordinarie nel caso il capitale di base scenda sotto una determinata soglia. Lanciate da Barclays e Credit Suisse, attribuiscono uno status particolare a chi le sottoscrive, che è consapevole dei rischi a cui va incontro una volta che le detiene. In tutti gli altri casi, come in quello di Cipro, no.

La realtà è ben più inquietante degli scenari più negativi che si sono letti negli ultimi giorni in merito a Cipro. Bisogna forse considerare il salvataggio di Nicosia come un esperimento per il futuro dell’eurozona? La risposta è probabilmente sì. Come spiega un funzionario della Commissione europea a Linkiesta, «nel caso il bail-in delle banche di Cipro, si potrebbe estendere questa via alle altre banche dell’area euro». Eppure, gli investitori non l’hanno presa bene. Le vendite hanno colpito principalmente le azioni delle banche più sotto pressione negli ultimi anni, quelle dell’Europa periferica.

Il bail-in potrebbe uccidere uno dei capisaldi della nuova architettura europea, la ricapitalizzazione diretta delle banche da parte del fondo European stability mechanism (Esm). Lo ha spiegato anche Dijsselbloem: «Se funziona questa opzione, non si renderà necessario l’intervento dello Esm». Alla luce di questo c’è una domanda, tanto legittima quanto spontanea, che preoccupa gli investitori. Se lo Esm, la cui potenza di fuoco è di 500 miliardi di euro, potrà non essere utilizzato per sostenere le banche, quali sono i motivi di questa scelta di fatto? Il timore è che per comprendere la risposta si debba guardare a Italia e Francia, già indicati come le prossime vittime della crisi dell’eurozona.  

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