Vale lo 0,2% del Pil dell’eurozona, ma per salvarla ci sono voluti mesi di trattative e l’ennesima notte insonne. Cipro è il quarto Paese salvato, dopo Grecia, Irlanda e Portogallo. Finalmente a questo giro si è riusciti a trovare la quadratura del cerchio. L’Eurogruppo straordinario ha raggiunto il suo intento, dando l’ok per un salvataggio da 10 miliardi di euro. Sul ritardo ha pesato il no iniziale del Fondo monetario internazionale a un esborso finanziario, che ha fatto irritare Finlandia, Olanda e Spagna. Ma hanno inciso anche le note infiltrazioni mafiose nell’isola, uno dei centri mondiali di riciclaggio di denaro.
Dopo uno dei Consigli europei più inconcludenti della recente storia dell’eurozona, è stato il momento di parlare di Cipro. Lo ha fatto l’Eurogruppo, il consesso dei ministri finanziari dell’eurozona, che doveva approvare il bailout della piccola isola. Fino dalla mattina le cifre che giravano vedevano un intervento finanziario compreso fra 10 e 15 miliardi di euro. Meno quindi dei 17 miliardi di euro di cui si parlava fino a poche settimane fa. Si tratta in ogni caso di una cifra spaventosa se rapportata al Pil cipriota, circa 18 miliardi di euro. Colpa dell’eccessiva finanziarizzazione del Paese, che lo ha portato ad avere «più banche che abitanti», come scrisse tre mesi fa Huw Pill, capoeconomista europeo di Goldman Sachs.
Si è deciso di optare per la soluzione più contenuta. Del resto, il governo di Nicosia aveva già ricevuto 2,5 miliardi di euro dalla Russia. Merito della fitta rete di relazioni fra i due Paesi. Rete che è stata criticata più volte dall’Unione europea, poiché basata sul riciclaggio di denaro sporco, considerato un’abitudine nella piccola isola del Mediterraneo.
Il presidente dell’Eurogruppo non è contento di salvare Cipro. «È chiaro che però non possiamo sottrarci», ha detto Jeroen Dijsselbloem prima di iniziare la riunione straordinaria. Della stessa lunghezza d’onda è il cancelliere tedesco Angela Merkel. Certo non felice di sborsare altri soldi, ha detto che sarebbe «irresponsabile» lasciare Cipro abbandonata a se stessa.
Le modalità di intervento sono quelle di sempre. Prima la firma di un memorandum d’intesa fra il Paese e il trio composto da Commissione Ue, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale. Poi, l’erogazione delle risorse finanziarie. Non è ancora chiaro se sarà il fondo salva-Stati temporaneo, lo European financial stability facility (Efsf), o quello permanente, lo European stability mechanism (Esm), a fornire questa assistenza. Data la particolare situazione di Cipro, e delle sue note infiltrazioni mafiose, alcuni Paesi sono riluttanti a fornire soldi a Nicosia. In particolare, Finlandia e Olanda hanno chiesto che il Fmi attivi delle linee di credito, invece che fornire solo expertise tecnica in vista del bailout.
«Tutto è in mano al Fmi, che deve decidersi», diceva in serata un diplomatico iberico. Il problema è che il direttore generale del Fmi, Christine Lagarde, non ha usato mezzi termini: «Bisogna raggiungere un accordo che non sia solo un cerotto». In particolare, la posizione dell’istituzione di Washington era chiara fin dal principio. Se Cipro ha bisogno di aiuto, lo deve richiedere ufficialmente all’Unione europea e al Fondo monetario internazionale. Stop ai flirt con la Russia, i cui oligarchi spesso utilizzano le banche di Cipro per riciclare denaro ottenuto illegalmente. «È soprattutto una questione morale», avverte uno degli sherpa del Fmi. Il governo di Cipro non vuole adottare parte delle misure richieste dalla troika durante le prime trattative. Solo a tarda notte, il Fmi ha dato la propria disponibilità a intervenire.
Il pericolo che fossero colpiti i depositanti esteri non è stato fugato, anzi. Fino a pochi giorni fa infatti c’era il timore che i primi a essere colpiti dagli effetti del bailout fossero solo i risparmiatori che avevano soldi nelle banche dell’isola. Come? Tramite una svalutazione forzosa, come richiesto in prima battuta dal Fmi in quanto misura necessaria per ristabilire un ordine. Ora invece, il governo lancerà una tassa sui depositi (il 9,9% per i depositanti oltre i 100.000 euro, con riduzione progressiva per gli altri), oltre che una tassa sulle transazione finanziarie e un innalzamento della corporate tax, che passerà dal 2.5% al 12,5 per cento. Inoltre, è facile che arrivi uno sfruttamento delle risorse di gas dell’isola come sorta di mediatore fra Europa e Cipro. Infine, l’altra opzione sul campo è un bail-in da parte dei debitori junior delle banche, che da obbligazionisti diventerebbero azionisti a tutti gli effetti degli istituti in sofferenza. Un altro modo per salvare una banca, insomma. Una misura, tuttavia, che potrebbe essere il preludio a un bank run, come sottolineava pochi giorni fa una nota di Goldman Sachs.
L’obiettivo di limare le distanze è riuscito. Di conseguenza, Eurogruppo e Commissione europea ora possono cominciare a parlare in modo approfondito del prossimo problema che dovrà affrontare l’eurozona, cioè l’Italia. Sempre che non sia troppo tardi.