Fabio Bolognini è Amministratore Delegato di Linker Srl, società di consulenza finanziaria per Piccole e Medie Imprese, accesso al credito bancario, ristrutturazione debito, business plan e piani di risanamento, servizi non finanziari per Pmi
Dal vostro osservatorio qual è, oggi, in tempi di grande recessione, il rapporto tra banche e imprese?
Se si considera la situazione delle micro, piccole e medie imprese la situazione non è mai stata così tesa ed è in costante peggioramento. Questo è dovuto alla combinazione di 4 anni consecutivi di crisi economica che hanno portato moltissimi bilanci delle imprese in rosso e della mancanza di liquidità causata dai pagamenti trattenuti da Stato ed enti pubblici e in parte minore – ma spesso ingiustificata – dalla costante dilatazione dei tempi di pagamento tra privati (vedi infografica: Non solo la Pa, anche le imprese non pagano i fornitori) o degli insoluti.
La stretta creditizia si è riversata proprio su questo perimetro di imprese ora molto più illiquide e più rischiose e probabilmente ha determinato un’accelerazione di crisi e insolvenze che sfocia sempre più spesso in manifestazioni di tensione tra bancari e piccoli imprenditori (leggi anche: Bancari & banchieri, il binomio spezzato del credito). Molto difficile parlare di partnership in questo periodo, anche se alcuni istituti stanno cercando di fare quanto possibile per aiutare i casi che si presentano.
Come ha risposto a questa domanda: Luca Barni, Antonio Belloni, Giorgio Merletti
Esiste davvero un credit crunch e quali sono gli effetti?
Il fatto che esista e che stia continuando non è più in discussione. Lo dicono gli aggregati pubblicati dalla Banca d’Italia in cui il credito alle imprese è sceso complessivamente di oltre 40 miliardi sui 900 complessivi. Non è importante neppure stabilire se manchi il credito o la domanda di credito, come spesso dice Abi, perché tutte le statistiche anche europee chiariscono che la domanda esiste per avere liquidità (circolante) o per ristrutturare i debiti.
Detto questo è importante capire che non si tratta di una stretta generalizzata, ma limitata alle imprese il cui rating è peggiorato e comporta, per la banca, elevati consumi di capitale, in un periodo nel quale il capitale è diventato risorsa scarsa per il sistema del credito.
Gli effetti sono purtroppo molto semplici: un peggioramento ulteriore della posizione di liquidità proprio delle imprese più fragili. Ciò che non viene compreso a sufficienza è che il ritiro di un fido da parte di una sola banca, mette a rischio tutti i crediti delle altre banche e dei fornitori, accelerando e rendendo irreversibili molte crisi latenti. E questo sta provocando un effetto palla di neve, di cui la crescita di incagli e sofferenze sono una chiara manifestazione terminale. Proprio per questo effetto il sistema bancario sbaglia a non adottare regole di comportamento condivise che andrebbero a beneficio di tutte le banche, non solo delle imprese.
Infine credo che le banche si debbano interrogare e molto sull’efficacia predittiva dei loro sistemi di rating in periodi di recessione prolungata.
Come ha risposto a questa domanda: Luca Barni, Antonio Belloni, Giorgio Merletti
I crediti dubbi sono in crescita del 17,5% anno su anno (dati Bankitalia), e non c’è traccia di ripresa fino alla seconda metà dell’anno. Come cambia il business delle banche quando le imprese sono in difficoltà?
La crescita inarrestabile del perimetro del credito deteriorato è prima di tutto un enorme costo operativo per tutte le banche, perché il personale di filiale deve oggi dedicare una fetta importante del proprio tempo a inseguire insoluti, rate non pagate e scrivere rapporti sui crediti incagliati. Sono costi con un ritorno zero o alquanto improbabile e sottraggono tempo ad attività commerciali. Secondariamente tutte le banche hanno dovuto rafforzare il presidio su questa massa di crediti a maggiore rischio, formando unità nuove e trasferendo personale, ma sinora questi sforzi si sono rivelati efficaci solo in parte (bene nell’attività specialistica di ristrutturazione) ma non abbastanza per prevenire l’arrivo di nuovi incagli e sofferenze. Infine il personale bancario – per i timori legati anche al processo di riduzione del personale bancario – appare più preoccupato di soddisfare le procedure interne, che di aiutare le imprese in difficoltà a trovare una via d’uscita. Da non dimenticare poi che rimangono forti vincoli posti dalla legge fallimentare, nella risoluzione delle crisi da parte delle banche.
Come ha risposto a questa domanda: Luca Barni, Antonio Belloni, Giorgio Merletti
Quanto peseranno le nuove regole di Bankitalia sul “pronto realizzo” sugli accantonamenti?
È una materia delicata e la discussione è in corso. Di sicuro queste regole non aiuteranno il rapporto costruttivo tra banche e imprese, perché metteranno altra pressione in capo alle banche.
Come ha risposto a questa domanda: Luca Barni, Antonio Belloni, Giorgio Merletti
Ci sono imprese a cui le banche prestano più volentieri? E le altre? È vero che dentro le banche si sta facendo questa selezione?
La risposta è già stata data alla prima domanda (ma vedete pure questo mio intervento sul blog http://www.linkerblog.biz/2013/03/09/la-rotta-delle-pmi-nel-gelo-del-credito/ e la figura Portafoglio Crediti Imprese 2013). Questo spostamento da rating elevati (brutti) a rating bassi è già in atto da oltre 3 anni, non è una novità di oggi. Si può dire che se prima si trattava di una politica silenziosa e strisciante, oggi sta diventando per alcune banche una scelta molto chiara e quasi prescrittiva.
Al momento le banche hanno espresso una netta preferenza per finanziare le imprese con una quota elevata di export, immaginando che soffrano poco della crisi del mercato domestico. Molte banche hanno lanciato iniziative specifiche e si sta scatenando una vera e propria corsa all’esportatore che riguarda purtroppo solo il 20% delle Pmi italiane.
Inoltre le banche prestano più volentieri in tutti i casi dove l’assorbimento di capitale è ridotto dalla presenza di garanzie ’statali’ quali sono le garanzie offerte da Sace e da Fondo di Garanzia.
Come ha risposto a questa domanda: Luca Barni, Antonio Belloni, Giorgio Merletti
L’obbligo di pagamento della Pa a 30 giorni ha reso più “bancabili” le imprese che lavorano con il pubblico?
Per ora no. Le imprese che hanno arretrati non hanno ricevuto nulla e sono esposte esattamente come prima. Nessuno ritiene ancora che la PA osserverà l’obbligo di pagamento a 30 giorni e questo è di per sè sconcertante, poiché si sta parlando di una legge dello Stato.
Come ha risposto a questa domanda: Luca Barni, Antonio Belloni, Giorgio Merletti
Perché nonostante i proclami del governo Monti gli scaduti di pagamento continuano a non essere saldati? quali sono i nodi da sciogliere?
Se si parla di arretrati della Pa, i famosi 70 o 100 miliardi, è abbastanza palese che la procedura messa in atto per certificare i crediti e portarli allo smobilizzo in banca una volta ottenuta la certificazione, non ha funzionato e anche questo è stato scritto ed è testimoniato da numerosi casi di imprenditori che hanno provato la procedura. Tuttavia in molti, me compreso, avevano intuito da subito che la procedura era stata costruita in modo da rallentare appositamente l’esborso dello stato o delle banche e questo si è verificato puntualmente.
Se si vuole mantenere questa procedura mi sembra che si debba fare qualcosa per velocizzarla, prima di tutto ‘costringendo’ tutti gli enti pubblici a registrarsi e prevedendo sanzioni per chi rallenta la certificazione. Nell’attesa di avere un processo meno farraginoso.
Ma guardando oltre il problema ‘tecnico’ è bene fare chiarezza su 2 punti:
1) quanti miliardi di crediti certificati della Pa le banche sono oggi in grado di pre-finanziare?
2) qual è la disponibilità delle banche di pre-finanziare i crediti vantati anche da imprese fragili o con cattivo rating? Perché il rischio di un rifiuto da parte delle banche proprio su questa fascia di imprese è elevato e non è stato mai chiarito in modo esplicito.
Come ha risposto a questa domanda: Luca Barni, Antonio Belloni, Giorgio Merletti