“Terrorismo sessuale”. Così viene chiamato ormai apertamente un fenomeno che sta diventando il nuovo allarme sociale proveniente dalle strade egiziane. Da mesi infatti il numero di molestie sessuali denunciate nel paese sta subendo un’impennata vertiginosa. Soprattutto in piazza Tahrir e negli altri luoghi di protesta pubblica gli episodi sono diventati ormai abituali e perpetrati secondo uno schema preciso. Squadre di 10-15 persone individuano una ragazza, la isolano, e la molestano in modi che vanno dai palpeggiamenti e lo strappo dei vestiti, a veri e propri stupri di gruppo.
Il fenomeno della violenza sulle donne non è nuovo nelle strade egiziane, soprattutto dopo la rivoluzione del 25 febbraio 2011. Da allora i disordini politici e la confusione all’interno degli organi di sicurezza hanno portato alla proliferazione dei crimini, compresi quelli di natura sessuale. Quello a cui si assiste ora in piazza Tahrir e negli altri luoghi di protesta sembra però andare oltre a un semplice problema di sicurezza pubblica.
Sono stati già molte decine i casi di stupro finora denunciati, ma si teme sia solo la punta di un iceberg. La società patriarcale egiziana tende ancora a considerare lo stupro prima di tutto come un disonore per la donna che lo subisce, e questa pressione psicologica impedisce a molte ragazze di denunciare la violenza subita.
Le reazioni da parte dei gruppi di attivisti non si sono fatte attendere. Alcuni di essi si sono repentinamente organizzati in “gruppi di scorta”, come le associazioni Tahrir bodyguard e Operation anti sexual harassment, che hanno creato veri e propri protocolli di sicurezza per le donne che desiderano partecipare alle proteste, protette dai dimostranti maschi con schemi quasi militari. Questi gruppi forniscono anche supporto psicologico alle vittime delle violenze, e stanno ora tentando di formare un fronte di protesta compatto che richiami le autorità e le forze politiche alle proprie responsabilità.
A febbraio l’associazione femminista Nadhra ha pubblicato un report dettagliato sul fenomeno. Le molestie sessuali sistematiche all’interno dei luoghi di protesta, e l’atteggiamento tollerante verso questi crimini da parte delle autorità, vengono descritti come un vero e proprio tentativo di allontanare le donne dagli spazi pubblici e dalla politica. Quelli usati sono strumenti di tipo terroristico, che utilizzano la paura della violenza e della condanna sociale come armi di intimidazione.
«Cosa facevano a Tahrir? Com’erano vestite? A che ora sono andate?»: il report denuncia anche le domande che la maggior parte dei politici islamisti rivolge alle donne vittime delle violenze. Alcuni membri della Shura, l’assemblea consultiva nominata dal presidente Mursi e composta soprattutto da religiosi conservatori, hanno rilasciato dichiarazioni che mirano a screditare l’intero movimento di protesta; c’è chi ha chiesto la separazione di uomini e donne nelle manifestazioni, e addirittura chi ha affermato che le proteste sono ormai diventate dei pretesti per l’esercizio della prostituzione.
Anche il fronte politico laico all’opposizione non si è distinto per la difesa dei diritti delle donne nei luoghi delle dimostrazioni. La questione è finora stata fatta passare in sordina, nel timore di scontrarsi con il forte conservatorismo sociale presente anche nel fronte più laico dello schieramento.
Le associazioni femministe si sono però organizzate, e hanno lanciato le prime grandi proteste su internet e sulle piazze. Dando il via a quello che sembra essere una nuova rivoluzione nella rivoluzione egiziana: la conquista della legittimazione e del rispetto per la presenza femminile negli spazi pubblici e nella politica.
*Eugenio Dacrema, ISPI research assistant