I grillini appoggeranno un governissimo Pd-Pdl per riformare la legge elettorale e tagliare i costi della politica. Lo ha detto Beppe Grillo in un’intervista al settimanale tedesco Focus. «Se Bersani e Berlusconi proponessero l’immediata modifica della legge elettorale, la cancellazione dei rimborsi elettorali e la durata massima di due legislature per ogni parlamentare, sosterremmo ovviamente subito un governo del genere» ha spiegato il comico genovese. Poco fa, però ha smentito tutto dalle colonne del suo blog: «Per quanto mi riguarda, lo ripeto per l’ultima volta, il M5S non darà la fiducia a nessun governo (tanto meno a un governo Pd – Pdl), ma voterà legge per legge in accordo con il suo programma».
Bersani, in ogni caso, non ne vuol sapere di “governissimo” con il Pdl e con Berlusconi. L’ha detto in tutte le salse: «Ora basta, di occasioni per dimostrarsi responsabile ne ha avute e le ha sprecato». Se non fosse chiaro, l’ha fatto ripetere al suo primo consigliere, quel Miguel Gotor, lo storico, che proprio ieri dalle colonne de La Stampa sottolineava: «Per semplificare: se si farà il governissimo, con dentro il Pdl e Berlusconi, non ci sarà Bersani. Abbiamo già dato».
Ma all’interno del Pd la linea maggioritaria è un’altra. «Bersani è all’ultimo giro: ha l’ultima chance», riflette un dalemiano di ferro. Mercoledì prossimo quando si riunirà la direzione nazionale del Pd, composta da 200 membri, il leader dei democratici metterà ai voti «la proposta di un governo di cambiamento, che segnali in modo netto il cambio di fase con sette-otto punti programmatici». Di certo «otterrà la maggioranza» – assicurano – ma poi arriveranno i guai.
Come spiegano a Linkiesta, «quando Napolitano chiamerà Bersani per le consultazioni, e lui riceverà il “no” di Grillo, in quel momento inizierà la fase due». Sia i renziani che i veltroniani guardano di buon occhio alla cosiddetta “fase due”. Che si baserà «inevitabilmente» su un governo del “presidente”, che «senza una maggioranza precostituita vada in Parlamento a cercare il consenso su un programma di riforma». In sostanza un “Monti-bis” ma senza Monti, ormai bruciato dalle recenti elezioni politiche. Al momento in pole position ci sarebbero tre nomi che potrebbe guidare un governo del “presidente”: l’attuale Ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, il ministro per la Coesione Territoriale Fabrizio Barca o il governatore della Bce Mario Draghi. Un governo simile sarebbe visto di buon occhio dai mercati internazionali e dall’Europa, e sarebbe sostenuto anche dal Pdl di Silvio Berlusconi, ma non dal M5S.
E la road map di un tal “governo del presidente” l’ha tracciata stamane dalle colonne del Corriere della Sera Walter Veltroni: «Ci vuole un atto del Parlamento italiano. Una prova di responsabilità: una nuova legge elettorale e una riduzione del peso della politica». Perché come spiega a Linkiesta un insider, «un governo del genere con la golden share in mano al Pd fra un anno pagherebbe in termini elettorali».
Ovviamente dietro questo scenario, che allo stato attuale appare quello più credibile, ci sarebbe anche quello che a Largo del Nazareno definiscono la “testa pensante del Pd”, ovvero Massimo D’Alema. Il quale qualche giorno fa ha aperto ad un “governissimo” con Pdl e M5S, consapevole del fatto che i “cinque stelle” avrebbero declinato qualunque tipo di offerta. E D’Alema in un governo presieduto da un “super-tecnico”, come Mario Draghi, meglio ancora con un Fabrizio Barca, troverebbe di certo spazio «come ministro», assicurano. Ed ecco chiudersi il cerchio.
Il governo del “presidente” potrà durare qualche mese, un anno, e consentirà alle forze politiche di porre le condizioni per andare a votare con una nuova legge elettorale. Maggioritario alla francese, o proporzionale alla tedesca? «Poi si vedrà», sussurrano al Nazareno. Intanto il Pd ha già pronto il candidato alla premiership: Matteo Renzi. Dario Franceschini ha già abbandonato l’attuale segretario, puntando tutto sul sindaco di Firenze. «Franceschini è un’opportunista, è tipico del suo comportamento», sbotta una fonte bersaniana. Anche Enrico Letta si inizia a smarcare da Bersani, e corteggia l’ex rottamatore: «È la carta del futuro». E i veltroniani lavorano in questa direzione da mesi, facendo riunioni su riunioni per convincere il sindaco di Firenze a rompere gli indugi. A poche ore dal responso elettorale un veltroniano di ferro come Paolo Gentiloni si è lasciato scappare: «Con Renzi la storia sarebbe stata diversa: più forti con Grillo, più attraenti verso delusi Pdl».
Mentre stamane Walter Veltroni si è espresso positivamente su “Matteo” ma allo stesso tempo ha preferito lasciare altre strade aperte: «Matteo è una risorsa importante ma la sinistra discute di nomi da anni. È un’ossessione. Così ha finito con il sottovalutare il significato dell’ispirazione politica e la coscienza del dolore che attraversa il Paese tutto, impresa e lavoro, fratelli inseparabili». «Tutta tattica», confermano dal Nazareno. D’altronde, rivela a Linkiesta un veltroniano: «Walter dice così perché non vuole bruciare Matteo. Non vuole che subisca lo stesso trattamento che gli riservarono quando si candidò nel 2008». D’altronde, «Matteo è l’unico che può interpretare lo spirito del Lingotto. E Walter lo sa». Ecco svelata la tattica veltroniana.
E nell’attesa di scoprire cosa succederà all’interno del più grande partito della sinistra italiana Matteo Renzi dice che è pur vero che «sono pronto a partecipare a una discussione vera su quello che serve al Paese», ma con un tweet precisa: «Ciò che volevo per l’Italia l’ho detto per le primarie. Ho perso. Adesso faccio il sindaco». Ancora per quanto?