Prima dell’omelia, champagne, mica acqua fresca. È così che gli studenti hanno festeggiato la notizia del primo pontefice gesuita nella scuola milanese della compagnia di Gesù, Leone XIII, dove ancora si cerca di formare l’élite milanese. Lo ha ricordato oggi, padre Eraldo Cacchione, coordinatore dell’animazione spirituale e docente di religione, durante una messa improvvisata, nella pausa pranzo, in omaggio a papa Francesco. Nella chiesa dedicata ai SS Nomi di Gesù, Giuseppe e Maria, costruita dentro la scuola che diplomò, fra gli altri, anche il premier Mario Monti. «Presi d’assalto da telefonate e messaggi di gioia, abbiamo riaperto la segreteria della scuola per accogliere tutti e brindare al nuovo papa», ha detto dal pulpito, gioioso, prima della liturgia.
Nei banchi, studenti, allegri e un po’ distratti, del liceo e delle scuole medie. E alcune madri, che invece si inginocchiano e levano la mani al cielo durante la recita del padre nostro. Si scambiano informazioni sulla propria salute, qualche gossip sussurrato con sorriso complice, e poi si concentrano sulla preghiera per rendere gloria al signore e a papa Bergoglio. «Mi è piaciuto subito», dice una signora rivolta a un’amica seduta nel banco accanto a lei, «che forza, nella sua semplicità. Oggi siamo tutti più sereni. Non abbiamo un governo, ma almeno abbiamo un padre, un nostro padre».
Poi inizia una messa, informale, che sembra più uno dei tanti incontri di fede organizzati dai gesuiti per dare una formazione ecclesiale, oltre che educativa, ai propri studenti. La parola che continua ad essere ribadita durante la liturgia è quella che ha segnato l’esordio di papa Francesco: misericordia. «Abbiamo vissuto molti giorni senza un pontefice», spiega don Eraldo durante l’omelia. «Le nostre vite sono andate avanti ugualmente, d’accordo, ma un corpo non può rimanere a lungo staccato dal capo. Quando è arrivato l’annuncio, siamo rimasti interdetti. Un papa gesuita, che ha fatto un gesto epocale: si è fatto benedire dal suo popolo, prima di dare la sua benedizione, e si è definito vescovo di Roma». Gli studenti annuiscono, alcuni con convinzione altri meno, ma dopo la comunione e il rituale scambio del segno di pace, scoppia un fragoroso applauso. La liturgia si conclude con una benedizione. «Ricevete questa benedizione che viene dal Gesù, siamo felici di sapere che un nostro confratello è diventato papa». A fare la benedizione è padre Uberto Ceroni, ormai novantenne, ex docente di religione, diventato icona vivente e padre spirituale della comunità gesuita dell’istituto Leone XIII, dopo che l’anno scorso ha preso l’ambrogino d’oro dal comune di Milano.
Finita la messa, all’uscita della scuola, studenti e genitori indugiano prima di andarsene. Francesco, liceo scientifico, rimarca subito che il papa ha il suo stesso nome, ma poi si lamenta che ha cinque verifiche in una sola settimana. «Ti rendi conto?», esclama, rivolto alla madre. «I miei figli ieri erano agitati, eccitati, e sono venuti qui a mezzanotte per festeggiare», osserva la madre di un altro studente. «Anche se poi tanti di loro alzano le spalle, con aria disincantata, dicendo di avere altri problemi nella testa, che non può risolvere di certo il nuovo papa».
Padre Ceroni, un arzillo novantenne, spesso interpellato per via del suo famoso studente, Mario Monti, chiarisce subito che il nuovo pontefice si chiama Francesco in omaggio alla sobrietà e alla povertà del santo di Assisi e non in omaggio a un altro Francesco, Francesco Saverio, che fu con Ignazio Loyola, fondatore della compagnia di Gesù. Un aspetto chiarito, anche durante l’omelia, per fugare ogni dubbio, e magari far dimenticare la potenza dei gesuiti, l’ombra del papa nero. «Ho spiegato stamane anche i bambini delle scuole elementari che il papa ha deciso di chiamarsi Francesco per unificare la Chiesa e cancellare il ricordo di quel papa francescano (Clemente XIV) che soppresse l’ordine dei gesuiti», ha chiarito don Eraldo Cacchione.
«Noi non lo conosciamo, ma ci piace il suo esempio pastorale: solido nella dottrina, attento ai problemi sociali», osserva padre Ceroni. «Sa guardare la realtà fino in fondo per dare annunci di salvezza all’uomo contemporaneo, mantenendo i valori intatti. E diciamolo: con lui, il Vaticano dovrà soffrire parecchio», sottolinea con spirito caustico, per sottolineare una scelta fatta secondo lui all’insegna del cambiamento. E della genuinità. Senza dimenticare che, fra i diversi motti sui gesuiti, ce n’è uno, ficcante, che padre Ceroni ricorda, prima di congedarmi. «Dove ci sono due gesuiti, nasceranno due scuole di pensiero; dove ce ne sono tre, ci saranno tre diverse teologie, mentre dove ce ne sono quattro, si formeranno quattro partiti politici. La nostra forza è questa: sappiamo mimetizzarci per comprendere meglio il mondo che ci circonda».