Ci sono i militanti, i gauchisti, i razionali e i menopeggio. I primi due gruppi sono gli aderenti di più vecchia data; il terzo e il quarto sottoinsieme appartengono all’ultima ondata elettorale, che ha permesso al movimento di Beppe Grillo di gonfiarsi di voti a partire dall’exploit delle elezioni regionali in Sicilia dello scorso autunno, fino a diventare il primo partito italiano alla Camera del deputati.
L’efficace descrizione è contenuta nel saggio appena pubblicato per Feltrinelli da Roberto Biorcio e Paolo Natale (Politica a 5 Stelle. Idee, storia e strategie del movimento di Grillo) e racconta molto delle fibrillazioni che il paese sta attraversando in queste ultime ore, tra stallo politico, polemiche sui processi di Berlusconi, le contorsioni a sinistra, il taglio del rating e l’obbligata moral suasion del Colle. Soprattutto il professor Borcio è colui che a inizio anni Novanta studiò la genesi della prima Lega Nord, dunque un attento indagatore di fenomeni nuovi, politologia raffinata “vivisezionata” dal basso. Settimana scorsa il New York Times lo ha intervistato per spiegare al lettore americano il fenomeno Grillo, i cui quattro blocchi di elettorato diverso che lo sostengono, sono esattamente la fotografia della nostra impasse.
Vediamoli brevemente.
I militanti sono i duri e puri della prima ora del M5S, mossi più da «motivazioni legate a elementi di programma e di capacità di ascolto che non di protesta contro gli ultimi governi e contro i partiti», scrivono Borcio e Natale. «Con un passato di voto ondivago tra destra, sinistra e astensione, sembrano aver trovato casa nel M5S e attualmente ne rappresentano il 25% dei votanti».
I gauchisti, l’altro zoccolo antico, giungono invece «da una precedente vicinanza/militanza ai partiti di sinistra o del centrosinistra, delusi dalla incapacità di quell’area politica di cambiare realmente la sostanza del paese». Peraltro i gauchisti sono «meno sensibili alla figura del leader Grillo, la cui ipotetica uscita di scena darebbe, secondo loro, al movimento la possibilità di fare ulteriori importanti proseliti», non avendo gradito, ad esempio, «il suo comportamento nei confronti della faida interna né lo scarso tasso di democrazia interno». Alla richiesta di auto-collocarsi sulla tradizionale dimensione destra-sinistra, questo sottoinsieme si dichiara ancora oggi di sinistra o di estrema sinistra e «rappresenta il 20% dei votanti il movimento».
Poi ci sono i razionali, uno dei due gruppi di recente adesione, saliti sul carro dopo le ottime performance alle ultime amministrative, dalla vittoria di Parma la scorsa primavera in poi. La scelta del movimento è motivata dall’opportunità di «condizionare in positivo l’evoluzione del quadro politico nazionale». Pur votando M5S, «non si dimostrano troppo entusiasti del partito né del suo leader benchè ne riconoscano una indubbia efficacia nello svecchiare una classe politica sclerotizzata, trasformatasi in casta». In sostanza, scrivono Biorcio e Natale, «scelgono Grillo dopo una attenta analisi delle forze in campo, reputandolo al momento il più utile per smuovere la politica dall’immobilismo. Lo stesso ruolo che pensano abbia Matteo Renzi dentro il Pd». Non a caso chi rientra in questo segmento elettorale «mostra un buon apprezzamento sul governo Monti e sulla sua figura». I razionali rappresentano oggi «il 30% del voto al movimento».
Infine ci sono i Menopeggio, l’altra categoria di adesione recente. Fanno parte di questo gruppone un coagulo di elettorato variegato, poco incline a magnificare Grillo a cui affibbiano una sufficienza stiracchiata. «Poco convinti dell’opzione europea e dell’utilizzo dell’euro, simbolo della crisi economica e finanziaria del paese, insieme a questa disastrosa classe politica, della quale non si salva nessuno». I menopeggio sommano «elettori di centrodestra deluso (provengono da quelle fila il 40% del sottoinsieme) e astensionisti (un altro 40%)». Se non fosse spuntato il M5S a fare da aspirapolvere, «sarebbero forse preda appetibile per possibili movimenti qualunquisti o, addirittura, sotterraneamente anti democratici». Attualmente «rappresentano il 25% dell’elettorato grillino».
Potremmo continuare oltre con la classificazione degli elettori a 5 Stelle, per area geografica o per composizione socio-demografica, il libro lo fa in maniera impeccabile. Ma non è questo il punto che vogliamo sollevare. Quel che ci preme è fermarci sui due ultimi gruppi di neo grillini. I razionali e i menopeggio, ossia il 55% dell’elettorato, 4,5 milioni di votanti, conquistati da Grillo praticamente negli ultimi 10 mesi. Sono loro lo specchio in cui si riflette la palude italiana, in cui si riflette l’esercito dei delusi dal “ventennio perduto” della Seconda Repubblica, i delusi dalle non riforme, dal teatrino politico a cui assistiamo ancora in queste ore tanto da costringere il presidente Napolitano a scendere di nuovo in campo («La crisi non aspetta, il paese si dia un governo»). I delusi dall’eterno ritorno del sempre uguale, da un lato la maschera ossessiva di Berlusconi dall’altro il cortocircuito perverso giustizia-politica e tutti insieme dal pervicace obbiettivo di restare attaccati alla poltrona.
In fondo è stato il loro traslocare disgustato sotto le tende di Beppe Grillo, razionali+menopeggio, a produrre il grande stallo del voto, il pareggione elettorale che tutto blocca e che preoccupa i mercati internazionali (le agenzie di rating sono tornate a votare a loro modo). Ieri mattina abbiamo anticipato uno studio firmato Swg in cui emerge la tripartizione dell’elettorato italiano, ormai post bipolare, in ceto moderato-magma progressista-rassemblement disgustato. Adesso la descrizione contenuta nel libro di Biorcio e Natale, tagliata sul paradigmatico elettorato grillino, sembra andare nella stessa direzione. Entrambi, sono la foto di un paese incartato.