BERLINO – Chi vuole le quote rosa in Europa, dovrà passare prima sul cadavere di Angela Merkel, e quindi avrà poche chance. È questo il messaggio che si può trarre da un documento riservato a cui ha avuto accesso Linkiesta – il cui contenuto era stato anticipato mercoledì dalla Süddeutsche Zeitung – sull’atteggiamento della donna più potente al mondo verso le politiche comunitarie che tendono ad offrire più possibilità alle donne nei quadri dirigenziali di grandi aziende e nel pubblico impiego. I funzionari tedeschi a Bruxelles hanno ricevuto direttive esplicite per fare lobby contro la proposta di Vivianne Reding. In generale, non si può certo dire che Merkel abbia speso i suoi mandati a favore della causa femminile. Numerose associazioni chiedono a gran voce maggior uguaglianza in un Paese che in questo ambito non è certo la locomotiva europea.
Il documento interno del Governo ai funzionari europei dimostra che l’opposizione della Germania all’introduzione delle quote di genere in Europa ha recentemente raggiunto un livello superiore. La rappresentanza tedesca al Parlamento Europeo è stata istruita a “promuovere immediatamente a livello diplomatico la posizione della Germania”, (la sottolineatura è presente nel testo) che rappresenta cioè, “il rifiuto alle linee guida proposte”. Per raggiungere il proprio obiettivo, il governo di centrodestra tedesco propone di “formare in modo duraturo un fronte minoritario che si oppone alla proposta”, con il fine di respingerla “in modo permanente”. Che il documento sia datato 4 marzo, pochi giorni prima della festa della donna più che una coincidenza sfortunata sembra una strategia per rafforzare il messaggio.
Il governo tedesco ha elaborato questa posizione sulla considerazione che “un gran numero di Stati membri è piuttosto scettico o addirittura contrario alla proposta”. Il progetto di legge del Commissario europeo alla Giustizia, Viviane Reding, che richiede ancora l’approvazione del parlamento europeo e del Consiglio dei ministri dell’Ue, prevede che tutte le aziende europee quotate nei listini di Borsa nazionali riservino una quota del 40% alle donne entro il 2020, mentre le aziende pubbliche dovrebbero raggiungere lo stesso obiettivo già nel 2018.
La decisione della Germania di fare opposizione frontale contro l’ambiziosa iniziativa europea è, anch’essa, a suo modo, una questione tra donne. Mentre la ministra del lavoro Ursula von der Leyen – 54 anni, sei figli e una brillante e discussa carriera – si è sempre spesa a favore delle quote, la ministra della Famiglia e le pari opportunità Kristina Schröder – 35 anni, un figlio e fama per le sue lotte antifemministe – si è sempre detta contraria. Ma mancava ancora l’imprimatur di una terza donna: Angela Merkel. Il dubbio su quale sarebbe stata la sua posizione finale era stato tale da indurre Der Spiegel lo scorso anno a ipotizzare, per mano di fonti confidenziali, che la cancelliera avrebbe puntato tutto sulle donne in questa campagna elettorale, a partire dalle quote rosa. Ciononostante, le sue dichiarazioni degli ultimi mesi preannunciavano questa posizione. Ai fini elettorali sono più importanti i voti del mondo delle aziende che quelli delle donne.
Il Governo non ha commentato il documento, ma il ministro degli Esteri, il liberale Guido Westerwelle si è espresso praticamente con le stesse parole citate sopra. «Non è compito di Bruxelles prescrivere agli Stati membri come le loro aziende private debbano occupare le posizioni dirigenziali», ha detto. Von der Leyen avrebbe invece messo da parte i propri principi dopo una chiamata dalla canelleria, «non c’è dubbio che la mia posizione sia un’altra, rappresenta però una netta minoranza», ha ammesso.
Frau Merkel conferma quindi la tradizione di due governi con poco o nulla fatto a favore delle donne. Non che non ce ne sia bisogno. Solo per citare alcuni tra i dati più recenti: il 45% delle donne in Germania lavora part-time, quasi una su due, è un dato molto al di sopra della media europea (del 32%). Dei 7 milioni di persone che nel Paese hanno contratti fino a 450 euro al mese secondo il modello “minijob”, la stragrande maggioranza sono donne. Solo il 4,5% dei posti “esecutivi” nei consigli di amministrazione (secondo dati di Egon Zehnder), al di sotto della media europea del 4,8%, (ma al disopra dell’Italia dove sono il 3,9%).
«Ci meraviglia molto che sia proprio una donna a bloccare le quote rosa nel parlamento europeo», scrive in un editoriale il settimanale femminista Brigitte, «naturalmente ci sono argomenti contrari all’introduzione di una quota per legge, e sono anche benvenuti (…). Però abbiamo visto negli anni passati quanto poco si è mosso senza di esse». Diversi gruppi di settore si sono raccolti sotto iniziative chiamate ProQuote.
A onor del vero bisogna dire che i sussidi per le madri sono generosi: lo Stato gira alle famiglie un bonifico di circa 170 euro al mese per ogni figlio fino ai 18 anni. La maternità viene pagata dallo Stato anche per le lavoratrici freelance, con un sussidio pari al 67% di ciò che si è guadagnato al mese l’anno precedente fino a un massimo di 12 mesi. Ma si tratta di iniziative con lo scopo esplicito di aumentare la natalità, e non di aiutare le donne a fare carriera.
Da questo punto di vista l’attuale governo ha fatto piuttosto un passo indietro: recentemente è stato approvato un polemico sussidio, conosciuto con il nome di Betreuungsgeld, “denaro per la cura” dei figli piccoli. Si tratta di una sovvenzione di 150 euro al mese destinata a quelle donne che rinunciano all’asilo nido e decidono di occuparsi dei figli piccoli a casa fino all’età di tre anni, sacrificando le proprie aspirazioni professionali.
L’opposizione e varie associazioni hanno criticato duramente la misura, e hanno accusato il governo di centro destra di promuovere un’immagine sbagliata e anacronistica di donna come angelo del focolare. Era però un’esigenza della Csu (i socialcristiani bavaresi), fondamentale a raccogliere il voto ultraconservatore, e nonostante le divisioni interne, Merkel ha dovuto cedere.