Il primo direttore donna di un giornale? Nel 1777

La veneziana Elisabetta Caminer Turra

Ha ventisei anni quando diventa direttrice del Giornale enciclopedico, il periodico fondato dal padre. È il 1777, Elisabetta Caminer, veneziana sposata con un vicentino, diventa così la prima donna in Italia a dirigere un giornale (la prima del mondo dovrebbe essere l’americana Elizabeth Timothy che nel 1738, alla morte del marito, assume la direzione della South-Carolina Gazette).

Caminer dà una svolta fondamentale alla storia del giornalismo: per prima si mette al servizio del lettore, firma gli articoli, cita le fonti (il viziaccio di usare la farina degli altrui sacchi senza dirlo non è mai stato perso dai giornalisti italiani), trasforma il giornale del padre Domenico, che nasce nel 1768 come una rivista di letteratura (si chiama Europa letteraria, cambia testata nel 1773, richiamandosi all’enciclopedismo francese) nel più importante strumento di diffusione dell’Illuminismo nell’Italia nordorientale, nel primo vero giornale moderno del Veneto. Elisabetta mai dimenticherà il suo essere donna e nelle colonne del giornale troveranno sempre spazio le opere femminili.

La Serenissima ha una lunghissima tradizione di giornali e gazzette. «Allora, che notizie a Rialto?», fa dire William Shekespeare a Solanio, ovvero il Mercante di Venezia e infatti il primo periodico conosciuto nasce proprio nel Cinquecento a Venezia, ed è un bollettino di cambi e di prezzi. Ma nel Settecento la città diventa una specie di capitale della stampa d’informazione: la Galleria di Minerva, giornale letterario fondato da Apostolo Zeno, nasce nel 1696 mentre del 1760 è la Gazzetta veneta, di Gasparo Gozzi, uno dei primi giornali modernamente intesi, in cui si danno notizie di cronaca e si pubblicano ritratti di personaggi. D’altro lato le veneziane ricoprono un ruolo altrove sconosciuto alle donne; alcune hanno un rilievo pubblico di assoluto primo piano, come Caterina Dolfin Tron o Isabella Teotochi Albrizzi, regine dei salotti in grado di influenzare la politica.

Elisabetta Caminer è figlia del suo tempo. Nasce il 29 luglio 1751 e, anziché seguire le indicazioni della madre, che la vorrebbe modista, si mette sulle orme del padre giornalista. Lascia l’ago e il filo per la penna, si dedica prima al teatro, traduce numerose opere dal francese, ma già diciassettenne comincia a collaborare con la testata paterna che si chiama ancora Europa letteraria. Le dà immediatamente una svolta, portando una ventata d’aria fesca e, soprattutto, una grande attenzione alle nuove correnti culturali in arrivo dalla Francia.

Nel 1769 si sposa con il medico vicentino Antonio Turra (e si firmerà sempre ECT: Elisabetta Caminer Turra) una figura di primo piano negli studi naturalistici: autore del primo trattato sulla flora italiana, pubblicamente lodato da Goethe («Il dottor Turra è uomo pieno di bontà e accorgimento», scrive ne 1786). Elisabetta va a vivere a Vicenza, ma, fatto del tutto inusuale al tempo, è economicamente indipendente dal marito. Traferirà lì la direzione del giornale, tuttavia la città le andrà sempre un po’ stretta, rispetto alla vivacità e al cosmopolitismo di Venezia.

La Caminer prende parte alle dispute contemporanee: si schiera con decisione a fianco di Carlo Goldoni e della sua riforma teatrale, polemizzando in maniera accesa con Carlo Gozzi. Naturalmente si crea dei nemici, che la descrivono con pesante sarcasmo: «L’aria sprezzante, il portamento virile, una mano in un fianco e l’altra in un moto perpetuo, per serrar e aprire il ventaglio, parere la fanno piuttosto un granatiere sull’armi che una poetessa da nozze». Chiama a collaborare al suo giornale alcune delle menti più vivaci del tempo, come Lazzaro Spallanzani, Giovanni Scola e Alberto Fortis, autore, quest’ultimo, di un fortunatissimo Viaggio in Dalmazia, libro che fa conoscere la Dalmazia veneta al resto d’Europa (viene tradotto in francese, inglese e tedesco) e per primo riporta il testo di un poema epico in lingua originale (antenata del serbocroato).

Nel febbraio 1777, ovvero al momento di assumere la direzione, pubblica un editoriale che illustra gli scopi e gli obiettivi dell’impresa: dovrà «raccogliere e presentar unite le cognizioni diverse», per prevenire «le accuse di pretenziosità e saccenteria» che il secolo riserva alle donne che dimostrano di avere un po’ di cervello, afferma che se è vero che «il sapere contribuisca alla felicità», allora l’insieme delle conoscenze delle persone colte non sarà inutile. Il ruolo di primo piano della testata diretta dalla Caminer è generalmente riconosciuto in tutta l’Italia delle lettere, tanto che il Magazzino toscano lo giudica «il più generale, completo, e istruttivo giornale che si possa modernamente acquistare». Elisabetta «si pone sempre come coscienza critica delle donne del suo tempo, donna pensante, voce di battaglia nel tentativo di far riflettere le altre sui condizionamenti che il genere impone. Fra le righe del Giornale enciclopedico si aprono voragini problematiche che impiegheranno duecento anni di sofferenze, di lacerazioni personali e di battaglie collettive per essere solo parzialmente colmate», scrive Mariagabriella Di Giacomo, sua biografa.

La Caminer diventa il bersaglio di conservatori, clericali e maschilisti di ogni risma. «I preti in furia formarono lega per non cedermi più la mano quando m’incontravano per via; e un frate arrivò quasi a far sentire dal pergamo che era dubbio salvarsi per chi leggeva un giornale composto da una femminetta», scrive in una lettera. La donna che usa il cervello non può essere onesta, è accusata di essere atea e miscredente, il tumore al seno che la colpisce e la porterà alla morte è visto come una punizione divina e, al momento del trapasso, il parroco sul sagrato della chiesa assicurerà i fedeli dell’avvenuta conversione dell’eretica signora.

Il tumore le provoca dolori insopportabili, rimane per due mesi bloccata a letto, prima di morire, il 7 giugno 1796, a Orgiano, vicino a Vicenza. Viene sepolta nella chiesa vicentina di Santo Stefano, senza una lapide che ne indichi il luogo. E non sembra proprio un caso. Per tutto l’Ottocento, secolo più che mai bacchettone, verrà descritta come una specie di puttanella dalle strambe velleità intellettuali. Il giornale le sopravvive di poco: già ridotto a semplice bollettino bibliografico dopo la morte della direttrice, cessa le pubblicazioni quando cessa di vivere la repubblica veneta, uccisa il 12 maggio 1797 per mano napoleonica.

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