Per la Polonia l’euro può attendere. Almeno fino al 2015, per la precisione. La decisione è stata presa. Prima ci dovranno essere le elezioni politiche e presidenziali, previste proprio fra due anni. A dare la conferma è stato il presidente Bronisław Komorowski. «Perché dobbiamo adottare l’euro adesso? Non c’è alcuna fretta», ha detto. Non solo. Secondo il presidente polacco «è chiaro, nonché importante e fondamentale, che ci sia un ampio sostegno pubblico. Bisogna convincere il popolo polacco che l’adesione all’euro è una buona cosa per il Paese». Parole che suonano come uno schiaffo a Bruxelles, che invece spinge per una veloce adozione dell’euro da parte della Polonia.
La decisione di Varsavia non è una novità assoluta. Già un anno fa, nel pieno della crisi italiana, la Polonia aveva lasciato intendere che ci sarebbe stato un ritardo nella scelta dell’adozione dell’euro, al posto dello zloty. Lo aveva detto il ministro delle Finanze Jacek Rostowski con pochi giri di parole. «Il target è chiaro, ma non c’è fretta», ha detto Rostowski. E anche oggi l’obiettivo di fondo è confermato, questo arriverà solo dopo un’attenta valutazione di costi e benefici. Inoltre, solo dopo la tornata elettorale del 2015.
Varsavia ha bisogno di tempo. Lo aveva già detto il premier Donald Tusk un anno fa, ripetendolo anche nello scorso novembre. E ancora in questi giorni, Tusk ha spiegato che solo in questo modo, riflettendo, la Polonia potrà avere «tutti gli elementi che gli permetteranno di scegliere la migliore opzione, al fine di garantire la sicurezza dell’economia polacca e mantenere la propria competitività, anche dopo l’entrata nell’eurozona». Certo, per ora l’adozione dell’euro come valuta unica non è molto attraente.
Il presidente polacco Bronisław Komorowski
Sono tanti i dubbi per la Polonia. I conti pubblici non presentano particolari squilibri, con un rapporto deficit/Pil del 3,4%, in calo rispetto agli anni passati e sempre più vicino al limite del 3% fissato dal Fiscal compact su base comunitaria. E come ha detto a dicembre Tusk «non ci sono segnali di contagio della crisi dell’eurozona, né nel sistema bancario né nel sistema industriale». Quello che è certo è che il Pil del Paese ha subito una flessione significativa negli ultimi due anni. Come riportato dalla Commissione europea nelle ultime previsioni economiche invernali, il Pil polacco è cresciuto del 4,3% nel 2011 e poi ha registrato una frenata nell’anno appena trascorso, finendo comunque in positivo per 2 punti percentuali. Il Pil nel 2013 crescerà dell’1,2% e solo nel prossimo anno si tornerà sopra quota 2 per cento. Sotto controllo l’inflazione, che passerà dal 3,9% del 2011 all’1,8% in quest’anno. In aumento, tuttavia, il tasso di disoccupazione. Per la prima volta nel 2012 si è sorpassata quota 10% e le attese sono per un tasso del 10,8% a fine 2013.
La vivacità dell’economia può quindi essere uno dei motivi per cui i polacchi potrebbero essere tentati a non voler l’euro. Del resto, come ha riportato uno studio dello scorso novembre di PKO Bank Polski, il maggiore istituto di credito del Paese, solo il 41% dei polacchi hanno espressamente dichiarato di essere a favore del passaggio da zloty a euro. «Il più grande timore percepito è quello di un peggioramento delle condizioni economiche e di una più elevata vulnerabilità», spiega PKO Bank Polski. «Non sempre l’euro è visto come un’opportunità, specie in periodi di estrema sofferenza come questi», continua la banca. Difficile affermare il contrario.
Nel frattempo, l’appeal della moneta unica europea è messo in discussione anche su altri fronti. A seguito delle elezioni italiane si è tornato a parlare di un eventuale ritorno alla lira da parte dell’Italia. Merito dell’Handelsblatt, il primo giornale finanziario tedesco. Oggi infatti Klaus-Peter Willsch, economista della Cdu tedesca, ha espresso in modo chiaro e tondo un concetto che circola sempre di più in Germania: «Se la maggioranza degli italiani non può essere convinta a rispettare le regole dell’eurozona, allora l’Italia dovrebbe considerare il ritorno alla lira». Apriti cielo. Tuttavia, l’insofferenza degli italiani nei confronti della moneta unica è in aumento. Secondo la consueta analisi di Morgan Stanley, condotta insieme con il Pew Research Center, la percentuale di italiani che vuole un ritorno alle valute nazionali è passato dal 38% di un anno fa al 46% dello scorso inizio febbraio. Una tendenza che sembra non conoscere freni.