L’austerity piace a Berlino, ma solo quella degli altri

Per quattro anni hanno sforato Maastricht

Molti tedeschi ritengono che l’austerity non sia un’idea tedesca, ma l’unico male necessario e possibile. Euro o non euro, se i paesi del Sud Europa si sono macchiati di colpe economiche, l’austerity sarebbe il rimedio imprescindibile per rimettere in sesto il bilancio. Forti di tanta convinzione, tra Berlino e Francoforte ci si stupisce del fatto che sul Mediterraneo le piazze siano in tumulto. Atene e Madrid sfasciano le vetrine, mentre Roma sfascia le cabine elettorali a colpi di Cinque Stelle, oltre a una poderosa botta di Berlusconi.

Per i tedeschi, le piazze dovrebbero ragionare. Lo sostiene anche l’Economist questa settimana: «The people of Italy have decided to avoid reality». Sassoni e anglosassoni ritengono che il popolo italiano sbagli a non accettare il piano europeo di maggiori tasse tasse e tagli di bilancio.

Eppure, nonostante tanta fiducia nelle forbici, come si sono comportati i tedeschi in circostanze analoghe? Se pretendono questo rigore, devono credere nelle soluzioni che sostengono. Perché tanta convinzione non sembra essere stata ispirata da esperienze domestiche – le quali, invece, sembrerebbero suggerire qualcosa di opposto. L’austerity non ha mai funzionato neanche in Germania. In tempi recenti, i tedeschi si sono comportati come gli italiani in almeno tre occasioni.

Possiamo citare prima di tutto della “madre di tutte le riforme”, quella del lavoro targata Spd, verso il 2004. Sono stati ridotti e accorciati i sussidi per la disoccupazione, e i sindacati hanno negoziato nuovi contratti di lavoro più flessibili con le grandi imprese. Sono stati introdotti “mini-contratti” di lavoro a tassazione agevolata fino a 800 euro al mese. Comprendendo che il colpo per la società era forte, i socialdemocratici di Schroeder hanno però ridotto anche la tassazione: l’aliquota minima è passata dal 19,9 al 16%, e quella massima dal 48,5 al 45%. Si pensava, cioè, di riassorbire disoccupati nel mondo del lavoro tramite la crescita economica, come poi è avvenuto.

Ma per sostenere l’impatto delle riforme, la Germania ha dovuto pompare denaro nell’economia. Le riforme hanno provocato un temporaneo aumento della disoccupazione (anche per cambiamenti nei criteri di calcolo), e lo Stato ha convogliato consistenti investimenti negli stati orientali, che costituivano il vero problema nazionale. Se i parametri di Maastricht prevedevano un limite massimo per il rapporto deficit/Pil al 3%, la Germania ha superato questo limite per quattro anni di fila: dal 2002 al 2005.

Le procedure d’infrazione europee non sono mai scattate, perché l’Europa ha scelto allora di graziare Berlino. Però altrettanta clemenza non è stata dimostrata dai tedeschi, che hanno cacciato i socialdemocratici dal governo alla prima elezione utile, nel 2005 – e non si sono ancora ripresi otto anni dopo.

Negli anni duemila la cacciata dei socialdemocratici tedeschi dal cancellierato è stata dovuta all’opposizione popolare alle riforme. La frattura tra elettorato e socialdemocratici è stata sanata solo in parte dalle promesse di crescita economica: una crescita che poi è arrivata troppo tardi, e di cui si pasce e si bea la coalizione di Angela Merkel.

Ai popoli del Sud Europa, quali che siano le loro colpe, sono promesse riforme e tagli di bilancio. Un mix simile non ha mai funzionato, men che meno in Germania. Se tra i tedeschi riforme e aumento della spesa hanno fatto cadere un governo, in Italia riforme e tagli della spesa fanno cadere un sistema politico – e, pensando alle proporzioni, sembra anche comprensibile.

Anche in tempi non sospetti, i tedeschi hanno rifiutato le regole di austerity in casa propria. Angela Merkel dovrebbe saperlo bene: alle elezioni del maggio 2012 nel Nord Reno-Vestfalia il candidato della Cdu, il suo partito, ha proposto un programma di ripianamento del debito del Land di 230 miliardi di euro. Come ha ricordato già Linkiesta, ha avuto quindi gioco facile la candidata dei socialdemocratici, Hannelore Kraft, la quale ha fatto notare che il debito pro-capite è basso, considerato che gli abitanti del posto sono diciotto milioni. Ha aggiunto poi un vendoliano «metto le persone prima di tutto», in quanto «preferisco la crescita, al rigore».

Arriviamo poi ai fatti recentissimi. La premessa è che la Germania è in pieno boom, tanto che le notizie sulla crescita destano imbarazzo e vengono comunicate in sordina. Ora, in gennaio l’aumento dei consumi è stato il più rapido degli ultimi sei anni, con un +2,9% rispetto al mese precedente – mentre le previsioni ritenevano che l’aumento sarebbe stato solo dell’1%.

Nonostante questo clima di ottimismo tra i consumatori, il Bundesrat (Consiglio Federale formato dai rappresentanti dei Länder) ha rifiutato la trasposizione nel diritto tedesco del patto fiscale europeo che richiede maggior disciplina nelle finanze pubbliche. Il Bundesrat è a maggioranza Spd – e la mossa potrebbe essere un dispetto alla Merkel. O forse, l’Spd non vuole ripetere l’esperienza del 2005: i socialdemocratici non tagliano più. Che lo facciano gli italiani!

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