Non c’è dubbio alcuno che nel Novecento il più diffuso prodotto da export del made in Italy sia stato il fascismo: una success-story che negli anni Trenta ha pervaso di sé quasi tutta l’Europa continentale. Si presumeva fosse finita con la tragedia della seconda guerra mondiale e invece si sta mostrando ancora assai vivace, per esempio in Grecia con Alba dorata e in Ungheria con Jobbik.
Benito Mussolini apre le danze e gli emuli che vogliono mettersi sulle sue orme vengon su come funghi un po’ dappertutto. Non è solo Adolf Hitler, in Germania, a considerare il duce suo maestro (bisognerebbe riguardarsi su You Tube i filmati del primo incontro tra Mussolini e Hitler, a Venezia, nel 1934, per rendersi conto di quando il duce fosse tronfio e superbo e il fürher sottomesso e umile di fronte al suo nome ispiratore).
Ma lasciamo stare il caso tedesco (Hitler prende il potere nel 1933), straconosciuto, e vediamo un po’ dove altri fascismi vanno al governo, o si fanno spazio, in quei maledetti Trenta. Si arriva a parlare di Internazionale nera, che tiene anche un congresso a Montreux nel 1934. Le varie vie nazionali al fascismo, siano mistiche o sociali, o entrambe le cose assieme, hanno tutte un tratto comune: il marcato antisemitismo.
Ungheria. Amputata dal trattato di Trianon (quasi due terzi del territorio magiaro si ritrovano al di fuori dell’Ungheria, un pezzettino – il Burgenland – finisce persino in un altro paese sconfitto, l’Austria), terrorizzata dalla violenza bolscevica di Béla Kun e dalla controreazione bianca, l’Ungheria finisce per affidarsi a quelle che ritiene le vecchie care certezze asburgiche, cioè all’ammiraglio ós Horthy. Cresciuto militarmente nella principale base dell’imperiale e regia marina, ovvero la città istriana di Pola (dove esiste ancora la sua villa, in stile castello transilvano), l’ammiraglio diventa reggente nel 1920 e si rivela un dispotico cattolico reazionario che non esita a instaurare una forma di dittatura militare. Il suo braccio esecutivo è il capitano Gjula Gömbös, che ricopre le cariche prima di ministro della Difesa, poi di premier. Quando muore, nel 1936, la transizione verso un regime di stampo fascista è ormai pressoché compiuta. Nel frattempo aveva guadagnato terreno la formazione delle Croci fercciate, guidato da Ferenc Szálas, gruppo ultranazionalista che schiacciava l’occhiolino al corporativismo mussoliniano. Nel 1938 Szálasi viene arrestato e condannato, con l’unico risultato concreto di far ottenere alle Croci fecciate l’anno successivo una squillante vittoria elettorale.
Romania. La Guardia di ferro nasce nel 1920 e non disdegna di dedicarsi al terrorismo e all’assassinio politico. Ne assume la guida Corneliu Zelia Codreanu che mescola le posizioni politiche di estrema destra al misticismo religioso: fonderà la Legione dell’Arcangelo Michele. C’è ben poco oltre al fanatismo e all’antisemitismo a tenere assieme gli aderenti alla Guardia di ferro che tuttavia negli anni Trenta guadagna un notevole consenso elettorale, diventando una delle più importanti forze politiche della Romania. A re Carol questi fanatici proprio non vanno giù e nel 1933 mette fuori legge l’organizzazione estremista. Per tutta risposta tre studenti ammazzano il primo ministro, Ion Duca. Il re accentua il carattere dittatoriale del suo governo, a quel punto Codreanu si sente scavalcato a destra dal sovrano e nel 1938 scioglie la Guardia di ferro. Verrà ugualmente arrestato, processato e ucciso, ufficialmente durante un tentativo di fuga. La Guardia di ferro continua a vivere clandestinamente e rialzerà la testa quando, nel 1940, un suo ammiratore, il generale Ion Antonescu, prenderà il posto di re Carol.
Croazia. Gli ustaša(insorti) di Ante Pavelić non sono solo ammiratori del regime di Benito Mussolini, ma anche suoi figli diretti. Gli esuli croati, infatti, negli anni Trenta trovano rifugio e vengono addestati in Italia, per la precisione a Bovegno (Siena), Borgo Val di Taro e Bardi (Parma) e Riva del Garda (Trento), oltre che in Ungheria. Nell’ottobre 1934 il re di Jugoslavia, Alessandro I, viene assassinato appena arrivato a Marsiglia per una visita di stato. Assieme a lui muore il ministro degli Esteri francese, Louis Barthou. A sparare è Vlado Černozemski, un macedone aderente al Vmro (Organizzazione rivoluzionaria interna macedone), che ha stretti collegamenti con gli šadi Pavelić. Questi ultimi vedono accrescere enormemente la loro popolarità tra gli estremisti nazionalisti croati e quando, nell’aprile 1941, tedeschi e italiani invadono la Jugoslavia, è proprio il poglavnik (duce) Pavelić a diventare capo del governo della neonata Croazia alleata dell’Asse.
Viene nominato re Aimone di Savoia-Aosta, con il nome di Tomislavo II, che però si guarderà bene dal mettere mai piede a Zagabria. Il regime ša cattolico integralista e ipernazionalista dà il via a una pesante pulizia etnica nei confronti dei serbi, mettendo anche in piedi il campo di concentramento di Jasenovac (le fonti più attendibili parlano di 80 mila morti). Tra l’altro, contrariamente a quanto si crede, i maggiori distruttori di leoni di San Marco veneziani in Istria e Dalmazia, non sono stati i comunisti di Tito, bensì i fascisti di Pavelić.
Spagna. Falange, fondata nell’ottobre 1933 da José Antonio Primo de Rivera, è un movimento che si richiama alla tradizione reazionaria cattolica spagnola, più che al fascismo italiano. È però vero che i nazionalisti vinceranno la guerra civile, cominciata nel luglio 1936, grazie all’intervento armato di italiani e tedeschi. Dopo l’assassinio di Primo de Rivera (novembre 1936) la Falange viene di fatto assorbita dalle forze armate, ma i militari se ne serviranno per darsi una mano di vernice fascista e accreditare una presunta fratellanza col regime mussoliniano. Quando il generale Francisco Franco prende il potere, nell’aprile 1939, assume il titolo di caudillo (duce), ma le assonanze col fascismo non si spingeranno molto oltre. Di fatto il regime franchista sarà sempre legato alle tradizioni della Spagna e influenzato dalla Chiesa cattolica.
Francia. Tra le due guerre nascono in Francia parecchi partiti e movimenti che si richiamano al fascismo, Parti Populaire Français, di Jacques Doriot, la Croix de Feu, del colonnello conte Casimir de la Rocque. Non prenderanno il potere (anzi, nell’aprile 1936 va al governo il Fronte popolare di Léon Blum), ma avranno un ruolo all’indomani dell’invasione tedesca e della formazione del governo filo-tedesco di Vichy. Ancor prima delle iniziative naziste, gli estremisti francesi scatenano in proprio l’antisemitismo e le persecuzioni contro gli ebrei. Ma è difficile distinguere tra fascisti veri e propri e coloro che si richiamano all’antica tradizone illiberale e violenta di una parte della destra francese.
Gran Bretagna. Anche a Londra nel anni Trenta aleggia un movimento fascista fatto in casa, ma per fortuna dei britannici non andrà mai oltre al folclore. Folgorato sulla via di Roma, Oswald Mosley, che già aveva lasciato il partito laburista per il quale era pure stato ministro, nel 1932 fonda la Union of Fascists (Buf), un movimento che adotta gli emblemi e le uniformi dei fasci che tanta ammirazione avevano destato durante la sua visita all’Italia mussoliniana. Ma quando Mosley, nel 1934, sembra avvicinarsi alla Germania hitleriana, si aliena molte simpatie. Se i britannici, infatti, guardavano con intreresse al Mascellone, ritenuto l’unico in grado a metter ordine fra quei riottosi di italiani, erano molto meno ben disposti verso Baffetto, sospettato di essere una fonte inesauribile di guai. E infatti così sarà