Si può leggere la crisi italiana alla luce dei Promessi Sposi? Si può riflettere sulla decadenza italiana, quella del lungo Seicento descritta da Carlo Maria Cipolla, ma anche quella del primo decennio del Duemila, quella dei nostri giorni insomma, trovando spunti nel capolavoro manzoniano? Cosa ci trasmette Manzoni?
Leonardo Sciascia nel suo saggio su Goethe e Manzoni (contenuto in Cruciverba, pubblicato da Giulio Einaudi Editore nel 1983 e ripubblicato dalla casa editrice Adelphi nel 1998) rilegge Manzoni attraverso delle lenti non convenzionali e molto profonde. Nella lettura sciasciana I promessi sposi («opera inquieta») non hanno quel carattere provvidenzialistico, considerato predominante negli insegnamenti delle scuole italiane e persino nelle trasposizioni televisive del romanzo, non costituiscono l’epopea della Provvidenza come affermò il Momigliano. Il romanzo invece si presenta, per Sciascia, come una indagine lucidissima sulla società italiana: del tempo in cui il romanzo si svolge, dell’Ottocento manzoniano, ma anche dei nostri tempi. C’è la descrizione dei “mali” d’Italia. Delle forze gattopardesche che sempre trionfano in Italia.
Per Sciascia l’opera di Manzoni «è generalmente vista come il prodotto di un cattolico italiano piuttosto tranquillo e conformista, quando invece si tratta di un’opera inquieta, che racchiude un’impietosa analisi della società italiana di ieri e di oggi e delle sue componenti più significative. Un libro, un’opera che contiene tutta l’Italia, persino l’Italia che più tardi sarà descritta da De Roberto ne I Viceré, da Pirandello ne I vecchi e i giovani, da Vitaliano Brancati ne Il vecchio con gli stivali…».
E l’interpretazione di Sciascia risulta tanto più solida e profonda se si accompagna con la lettura di un testo ormai introvabile, Il Sistema di don Abbondio del critico letterario Angelandrea Zottoli, che non viene più stampato dal 1933, quando fu pubblicato da Laterza. Testo che ho avuto la fortuna di trovare in Biblioteca Palatina a Parma. Afferma Sciascia sui Promessi Sposi:
«A scuola, il libro si riduceva a una specie di scacchiera su cui figure che non arrivavano ad essere personaggi venivano mosse da invisibili mani dal buio alla luce, dalla sventura alla salvezza. Le mani della Grazia, le mani della Provvidenza. (…) “Protagonista del libro è la Provvidenza” assicuravano commentatori e professori. Io invece il libro l’avevo letto, prima, con la convinzione che protagonista ne fosse Don Abbondio, personaggio perfettamente refrattario alla Grazia e che dalla Provvidenza si considerava creditore; né c’è stato, da allora ad oggi, commentatore o professore che sia riuscito a farmela mutare. Ad un certo punto, anzi, mi sono imbattuto in un saggio che me l’ha confermata e motivata: quel Sistema di don Abbondio che per me resta la migliore introduzione alla lettura dei Promessi Sposi. Naturalmente nelle storie e nelle antologie della critica italiana (…) si trovano sparutissime tracce di Angelandrea Zottoli, autore, oltre che del Sistema di don Abbondio, di altri notevoli saggi su Umili e potenti nella poetica del Manzoni, su Boiardo, su Casanova, su Leopardi. Ma come la nostra storia civile, anche la nostra storia letteraria è fatta di dimenticanze, omissioni e disguidi. Ma torniamo a Don Abbondio. “Figura circospetta e meditativa”, dice Zottoli, che si mostra appena Adelchi cade e che da Adelchi apprende che “una feroce forza il mondo possiede” e che “loco a gentile, ad innocente opra non v’è: non resta che far torto o patirlo”. Ma questa visione della vita, questo pessimismo, è per don Abbondio un riparo e un alibi: don Abbondio è forte, è il più forte di tutti, è colui che effettualmente vince, è colui per il quale veramente il “lieto fine” del romanzo è un “lieto fine”. Il suo sistema è un sistema di servitù volontaria: non semplicemente accettato, ma scelto e perseguito da una posizione di forza, da una posizione di indipendenza, qual era quella di un prete nella Lombardia spagnola del secolo XVII. Un sistema perfetto, tetragono, inattaccabile. Tutto vi si spezza contro. L’uomo del Guicciardini, l’uomo del “particulare” contro cui tuonò il De Sanctis, perviene con don Abbondio alla sua miserevole ma duratura apoteosi. Ed è dietro questa sua apoteosi, in funzione della sua apoteosi, che Manzoni delinea – accorato, ansioso, ammonitore – un disperato ritratto delle cose d’Italia: l’Italia delle grida, l’Italia dei padri provinciali e dei conte-zio, l’Italia dei Ferrer italiani dal doppio linguaggio, l’Italia della mafia, degli azzeccagarbugli, degli sbirri che portan rispetto ai prepotenti, delle coscienze che facilmente si acquietano…». (Sciascia, Cruciverba, 1983).
Insomma con queste straordinarie parole Sciascia descrive l’apoteosi di don Abbondio, che vince in un Paese dove non viene mai premiata la virtù. Sempre Sciascia riprende l’interrogativo – stupefacente e disarmante – che si era posto il sacerdote e scrittore Cesare Angelini, rettore dell’Almo Collegio Borromeo di Pavia: perché Renzo e Lucia se ne vanno? Perché se ne vanno proprio quando tutto è risolto? Perché abbandonano le loro terra quando non hanno nulla da aver paura?
«Anni addietro Cesare Angelini (…) fu folgorato da una domanda: perché se ne vanno? Perché Renzo e Lucia, ormai che nel castello di don Rodrigo c’è un buon signore e nulla più hanno da temere, lasciano il paese che tanto amano? Non seppe trovare risposta. E pure la risposta è semplice: se ne vanno perché hanno già pagato abbastanza, in sofferenza, in paura, a don Abbondio e al suo sistema; a don Abbondio che sta lì, nelle ultime pagine del romanzo, vivo, vegeto, su tutto e tutti vittorioso e trionfante: su Renzo e Lucia, su Perpetua e i suoi pareri, su don Rodrigo, sul cardinale arcivescovo. Il suo sistema è uscito dalla vicenda collaudato, temprato come acciaio, efficientissimo. Ne saggiamo la resistenza anche noi, oggi: a tre secoli e mezzo dagli anni in cui il romanzo si svolge, a un secolo e mezzo dagli anni in cui Alessandro Manzoni lo scrisse». (Sciascia, Cruciverba, 1983).
Di quel sistema – uno dei pilastri dell’anomalia italiana – ancora oggi ne saggiamo le resistenze e ne subiamo le conseguenze. Il famigerato “spread” tra Btp e Bund, di cui sempre più si parla negli ultimi tempi, riflette anche i danni, le rendite di posizione, le vischiosità presenti nella società italiana generate dal “sistema di don Abbondio”…