Nick Cave, nuovo disco e una app per Spotify

55 anni e oltre quindici dischi alle spalle

«Mi sento tuttora un impostore nel mondo della musica». Nick Cave non crede di avere un grande talento musicale. Almeno, così ha sostenuto ad Austin (Texas), davanti alla platea del South by Southwest (Sxsw 2013), festival di musica e creatività varia. La sala, dicono le cronache, era piena da scoppiare. Il pubblico avrebbe potuto smentire Cave con facilità, citando anche uno soltanto dei classici della sua ormai lunga carriera. Sarebbe bastato nominare pezzi come The Mercy Seat o Into my arms. O tutto l’ultimo album, Push the Sky Away, uscito circa un mese fa e già accolto da critica e fan come una gemma inaspettata. Nick Cave ha 55 anni e oltre quindici dischi alle spalle. Il consenso della critica non l’ha mai abbandonato e i fan possono difenderlo a spada tratta. Nessuno ha più il dovere di pretendere nulla da lui.

Eppure Push the Sky Away è una sorpresa. La poetica (e la voce) di Nick Cave è rimasta intatta nel tempo, con tutti i suoi tormenti, la sua tensione, la sua cupezza, la sua visceralità. Nulla, però, faceva presagire una svolta così. Cave ha lavorato sulla lentezza, sulle trame sonore più sottili, su atmosfere rarefatte ma non per questo meno inquiete. Non c’è canzone, per quanto delicata all’apparenza, che non riveli delle crepe, degli echi da brivido. Difficile rilassarsi, nonostante i ritmi lenti. Più probabile rimanere ipnotizzati. Da dove viene tanta eleganza? Pur con i soliti ingredienti, la formula del presunto impostore varia in ogni disco.

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Questa volta, le registrazioni sono avvenute in una villa ottocentesca in Provenza, sede di una grossa collezione di vinili di musica classica. Il lavoro in studio è stato fondamentale: «Sono arrivato con alcune idee informi, ma sono stati i Bad Seed a trasformarle in cose meravigliose», dice Cave. Ma di sicuro c’entrano anche le eteree colonne sonore composte, negli ultimi tempi, col compagno di banda Warren Ellis, qui co-autore di tutte le musiche. Ed è forse rimasto qualcosa del feroce side-project Grinderman, nella centralità ritrovata, in molti brani, della chitarra rispetto al pianoforte. Al resto provvedono i Bad Seed, con la loro «pura, istintiva inventiva» (parola di Cave) guidati dalla visione del cantante, che considera Push the Sky Away «il bambino fantasma nell’incubatrice, e i loop di Ellis il suo battito cardiaco».

Le canzoni sono nate su un piccolo bloc notes, nell’arco di un anno. Ogni pezzo ha le sue annotazioni (e chi ha voglia di spendere molto, può comprare una edizione deluxe col bloc notes incluso!), visto che i testi hanno preso forma a partire dalla ricerca di curiosità su Google e Wikipedia. Secondo Cave, i pezzi di Push the Sky Away illustrano l’influenza di internet nella vita corrente: dai grandi eventi alle mode passeggere, forse è cambiato qualcosa nel modo in cui riconosciamo cosa è davvero importante. Emblematico, in questo senso, è Higgs Boson Blues, forse il brano più bello del disco. La religione ha sempre contato, per Nick Cave, e il pensiero che si stesse disintegrando l’idea di Dio non poteva lasciarlo indifferente.

Ha riassunto così il pezzo a Stefano Montefiori del Corriere della Sera: «Credo che il personaggio della canzone stia andando giù a Ginevra per cercare di scoprire che succede, e lungo la strada passa attraverso una serie di catastrofi spirituali, l’assassinio di Martin Luther King, ebrei e musulmani che si combattono, missionari in Africa col vaiolo, scimmie che infettano il mondo e finisce con Hannah Montana, Miley Cyrus che nuota in una piscina con i delfini… Squarci di un crollo spirituale». Qui non lo dice, ma in Higgs Boson Blues è citato spesso Robert Johnson, il padre del blues. Quello che, vuole la leggenda, incontrò il diavolo. Anche in un presente tanto frammentato, Cave non dimentica da dove viene una tale valanga di parole e note. E forse, il suo linguaggio è potente anche per questo.

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Non dimentichiamo però che dischi e concerti non sono l’unica attività del più celebre musicista australiano. Cave è, oggi, un versatile imprenditore di se stesso. Prima di Push the Sky Away c’è stato un romanzo, La morte di Benny Munro (e un altro, in forma breve, arriverà: per ora è solo un’idea). Senza dimenticare il cinema: le colonne sonore già citate, la sceneggiatura di The Proposition e Lawless. Altri copioni sono in fase di scrittura. Tornando alla musica, King Ink (nomignolo d’altri tempi, ma ancora valido) ha avuto la buona intuizione di interessarsi a Spotify senza pregiudizi e di studiare una app fatta apposta per immergersi nel suo mondo.

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Secondo lo stesso cantante, la app è rivolta in particolare «ad aiutare i non iniziati a navigare nel mio vasto e terrificante catalogo». Funziona così: una volta lanciata (e, se volete, messa nei preferiti di Spotify) la home si apre su una ruota che mostra i diversi mood a cui associare le canzoni di Cave. Potete scegliere tra Murder&Mayhem, Classic, Spiritual e Super Dark, Love, Confessional, Blasphemy, Sex, Heart Break, Comic. A partire da un mood si genera una playlist. Si può anche aggiungere una ruota, in modo da selezionare più mood e combinarli in una particolare selezione di canzoni. Altrimenti, l’altra opzione è scoprire il catalogo album per album – e, anche qui, mettere da parte i pezzi preferiti. Chi vuole può dare un’occhiata alle playlist composte da colleghi illustri di cave, come Lou Reed o Jarvis Cocker. In ogni caso, l’operazione è intelligente: facile da usare, sfiziosa per i filologi e divertente per tutti.

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Insomma, per essere tutt’oggi un personaggio maledetto, con un retroterra di alcol, eroina e ossessioni varie, Nick Cave conduce i suoi affari in modo tutt’altro che distratto. Ma al principio di tutto c’è ancora la scrittura di canzoni. «I miei sentimenti sono irrilevanti», ha ribadito a Stefano Montefiori: quello che conta, per lui, è entrare in un mondo diverso. Una creazione spesso composta di sensazioni poco concilianti (ridate un’occhiata ai mood elencati qualche riga fa…), ma in cui Cave si sente più a suo agio che nella vita reale. Poco importa se, per dare vita alle sregolatezze, bisogna andare a lavorare ogni giorno in uno studio di Brighton (città dove potete trovare Jubilee Street, cui è intitolata una delle ballate più intense di Push the Sky Away). Con regolarità da impiegato, come già suggerivano Gustave Flaubert e i musicisti di Tin Pan Alley. Forse, l’unica vera impostura è proprio questa. 

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