Niente bombe, la nuova guerra è quella delle monete

Finanza & banche centrali

Niente bombe, o complotti diplomatici, o accordi sul pezzo del petrolio. La prossima guerra globale tra i paesi industrializzati si combatterà, anzi si sta già combattendo, attraverso il controllo del valore delle valute. Questo nuovo fronte di contrasto è stato aperto qualche mese fa quando il presidente della Banca Centrale Europea (BCE) Mario Draghi ha pronunciato le parole che hanno salvato la moneta unica: «l’Europa è pronta a fare tutto il necessario per salvare l’euro». Affermazione che ha riportato il sereno sui mercati finanziari globali e ha dato sostegno alla moneta unica europea nei confronti di dollaro e sterlina inglese. Ma che, allo stesso tempo, ha innescato un meccanismo di auto-difesa da parte di alcune banche centrali che hanno fatto capire di essere pronte a utilizzare la politica monetaria come strumento per influenzare il cambio tra le valute, una nuova arma a sostegno dell’economia domestica e leva politica.

In tempi di crisi economica la tentazione per una banca centrale di svalutare la propria valuta per favorire e sostenere la domanda per i beni del paese, sia a livello domestico che internazionale, é forte. Si parla in questo caso di “currency war”, o guerra delle valute, termine coniato nel 2010 dal ministro braziliano Guido Mantega quando diversi stati avevano utilizzato la svalutazione competitiva per far calare in modo artificiale il prezzo dei beni, favorendo allo stesso tempo l’occupazione. Il mix si politiche che rientra nella definizione di questa “guerra”, molto temuta a livello economico quanto diplomatico, prevede infatti immissione di moneta nel sistema economico, con un conseguente un calo dei prezzi e della disoccupazione. Questo mina tuttavia anche il potere d’acquisto della popolazione.

L’ultimo episodio di questa guerra riguarda il Giappone, che dallo scorso dicembre, quando è salito al potere Shinzo Abe, ha svalutato lo yen nei confronti del dollaro, con un calo di circa il 20%, con lo scopo di supportare l’acciaccata economia del paese. L’obiettivo di questa politica è quello di combattere il rischio di deflazione che da anni minaccia l’economia nipponica, ma anche di favorire le esportazioni, in particolare del settore automobilistico. «Il mercato dei cambi sta diventando uno strumento di politica chiave nel nuovo equilibrio economico», spiega Salman Ahmed, analista di Lombard Odier. «Siamo tuttavia ancora lontani dal caso limite visto negli anni ’30, quando le svalutazioni venivano addirittura rese più marcate da limitazioni imposte sull’import/export».

La risposta dei rappresentanti di Stati Uniti e Europa non si è fatta attendere, e durante il recente G-20 di Mosca i leader dei paesi industrializzati hanno chiesto a Abe un armistizio. Abe per il momento fa orecchie da mercante. Non solo il Giappone potrebbe essere pronto a svalutare ancora, ma altre banche centrali potrebbero essere pronte a seguire l’esempio giapponese. Tra tutte la Cina, una delle economie più esposte all’attacco valutario giapponese data la vicinanza geografica e l’elevato volume di import/export.

Intanto, anche l’Europa ha alzato i toni, e gli analisti temono il coinvolgimento di Eurozona e Stati Uniti nel campo della battaglia valutaria. Solo pochi giorni fa, Arnaud Montebourg, ministro dell’industria francese, ha affermato che la Bce dovrebbe svalutare l’euro, prendendo parte alla “currency war” per risolvere la stagnazione dell’economia europea. «L’euro è troppo forte rispetto ai fondamentali economici della regione e la BCE deve iniziare a utilizzare la svalutazione come arma politica», ha affermato Montebourg. Uno scenario che fa paura, e va contro le raccomandazione del G-20. Eppure, sempre più realistico nel nuovo equilibrio politico in cui il tasso di cambio è arma politica e diplomatica oltre che indicatore del sentimento degli operatori.

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