Non solo calcio, a Port Said la partita è geopolitica

Dopo le condanne degli ultrà

Solo due poliziotti condannati a 15 anni, dei 9 sotto processo. Condanna a morte confermata per 21 dei tifosi di el Masry. La sentenza di stamattina fa esplodere la rabbia delle due tifoserie coinvolte perchè scontenta un po’ tutti. Sia gli ultras di el Ahly che quelli di al Masry. “Questo è un processo politico” mi aveva detto a Port Said un mese fa l’avvocato Ashaf el Asaby, che difende alcuni dei tifosi di el Masri, condannati a morte per impiccagione. La sentenza, che dovrebbe rendere giustizia per i tragici fatti del febbraio dell’anno scorso, quando 74 tifosi di el Ahly morirono allo stadio di Port Said, diventa un caso politico. Guai a pensare che solo di cronaca o calcio si tratti.

Ricapitoliamo i fatti: il 1 febbraio 2012 a Port Said, alla fine del match tra el Ahly, squadra del Cairo e al Masry di Port Said scoppiano scontri dopo un’invasione di campo da parte dei tifosi locali. Nella calca e nelle violenze muoiono 74 tifosi di el Ahly. I cancelli dello stadio chiusi e l’assenza di intervento da parte della polizia fanno gridare i tifosi di el Ahly a un complotto ordito dalle forze di sicurezza. A distanza di un anno, e dopo tante lacune nella ricostruzione dei fatti, le sentenze.
Essam el Deen Mohamed Samak, capo della sicurezza a Port Said, è stato condannato a 15 anni di carcere, così come un altro ufficiale di polizia, Mohamed Mohamed Saad, che aveva le chiavi dei cancelli dello stadio. Ma altri 7 ufficiali di polizia, oltre che la dirigenza di al Masry sono ritenuti non colpevoli. Altri 5 tifosi condannati all’ergastolo.
Questa seconda sentenza, emessa stavolta da un tribunale del Cairo, arriva dopo una prima sentenza di condanna a morte di 21 tifosi di Port Said. La condanna a morte dovrà essere ratificata dal Gran Muftì. Sono così scoppiati disordini sia nella capitale che nella città portuale. Bloccato per poco anche il canale di Suez.

Ma chi sono le forze in campo? Qui non si parla solo di calcio. La vicenda vede tanti attori: tifoserie di calcio, forze di polizia, l’ombra lunga del governo di Morsi. Allora, da una parte vi sono gli ultras di el Ahly, probabilmente la forza di piazza meglio organizzata nel paese, che avevano da tempo un conto aperto con la polizia, come spiegano due dei loro leader “Iuri” e “Reeo”, che ho incontrato anche recentemente. La strage di Port Said è stata, secondo gli Ultras una vendetta del Ministero dell’Interno e delle forze di sicurezza. Gli ultras di el Ahly, abili nella guerriglia urbana, capaci di contrastare i poliziotti nei disordini hanno giocato ruoli importanti durante gli scontri di questi due anni. Il nemico per loro è la Polizia. La Rivoluzione, di per sé, non è importante. “Gli Ultras vivono e lottano solo per il bene di el Ahly e per avere giustizia” ripete Iuri.
Dall’altra parte, gli Ultras di al Masry, per bocca di uno dei leader, “Spicy Alì”, hanno sempre negato di essere i responsabili delle morti: asfissia, hanno sempre detto. Gli ultras di Port Said, le “aquile verdi”, sostengono che i colleghi di el Ahly sono uno strumento nelle mani del Ministero dell’Interno. Questo non lo credo. Credo semmai che Morsi sia spaventato dal peso degli ultras del Cairo.
L’impressione è che entrambe le tifoserie (entrambe contro le forze di polizia) siano state strumentalizzate dagli apparati di Mohamed Morsi. Questa sentenza crea rabbia, porta al caos, permette il dispiegamento dell’esercito e permette di criminalizzare le tifoserie etichettate come gang criminali.

Un altro dato essenziale per capire che cosa sta accadendo è contestualizzare Port Said: il principale porto egiziano è diventato via via negli ultimi mesi un importante fulcro di rivolta popolare contro Morsi. Allo stesso tempo le milizie dei fratelli musulmani sono sempre più attive (e aggressive) nella città portuale. Tanto che la sicurezza della città è affidata ora all’esercito. La Polizia ha da settimane abbandonato le strade (i poliziotti sono in sciopero). E oggi anche il principale commissariato. Un giovane ufficiale di polizia che ho incontrato a Port Said meno di un mese fa mi ha mostrato un video con le immagini dell’assalto ai commissariati dopo la prima sentenza. Armate di grosse moto e fucili kalashnikov, gang criminali attaccavano i commissariati. A Port Said ho anche incontrato un black bloc, esperto di armi, che mi ha confermato la facilità con cui fucili e pistole circolano in città. In conclusione: attenzione alle dinamiche del calcio egiziano che sono un volano sociale e politico, attenzione a questo processo che non è solo cronaca (pur tragica) giudiziaria. Il calcio muove persone in Egitto: tante, motivate, giovani. Attenzione allo stadio di Port Said. E attenzione a Port Said (più che al Cairo). Fuori dagli spalti della città portuale, è guerra. Dal principale porto egiziano arrivano armi in quantità e la situazione può facilmente scappare di mano. Non è (solo) calcio, ma la partita che si gioca a Port Said è importante. Per tutto l’Egitto. 

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