Politica in stallo, la suggestione del modello belga

La provocazione di Grillo e le consultazioni difficili

Se l’ha fatto il Belgio, possiamo farlo anche noi. E già, la tentazione di blindare per chissà quanto tempo Mario Monti a Palazzo Chigi nella sua veste di presidente del Consiglio per gli affari correnti affiora, rilanciata da Beppe Grillo. Non è un caso: in Belgio, dopo il voto anticipato del 13 giugno 2010, il premier uscente Yves Leterme è dovuto restare al suo posto per la bellezza di 542 giorni, stracciando così qualsiasi record – finora detenuto dall’Iraq, che ha impiegato 249 giorni per darsi un esecutivo.

Eppure in questi 18 mesi – il governo del socialista Elio Di Rupo entrerà finalmente in carica il 7 dicembre 2011 – il Belgio ha proseguito tranquillamente, come niente fosse, senza danni particolari – se non il declassamento del suo debito da parte di Standard&Poor’s da (AA+ a AA con outlook negativo) proprio per l’infinita crisi di governo. Un declassamento, si noti bene, che ha portato in 18 giorni a un accordo di governo che non si era trovato in 18 mesi.

Diamo un’occhiata a quel che ha fatto il Belgio nei 542 giorni con un governo per gli affari correnti. Anzitutto, Yves Leterme ha gestito senza imbarazzo, pur essendo formalmente un premier dimissionario responsabile solo degli affari correnti, la presidenza di turno dell’Ue, dal primo luglio al 31 dicembre 2010. Senza scossoni. Questo è niente. Il 10 gennaio 2011 – a ormai 7 mesi dal voto – il re Alberto II chiede a Leterme di preparare una finanziaria, il paese non può restare senza bilancio. E lui lo fa, prepara una legge di bilancio modello in Europa, che viene regolarmente votata in Parlamento. Il quale varerà anche altre leggi, come quella che vieta di portare il burkha in pubblico, e, alla quasi unanimità, l’invio di 4 jet militari F-16 in Libia – ora, la decisione di partecipare a una missione militare non rientrerebbe propriamente negli “affari correnti”. Eppure nessuno protesta. Non basta, il governo avvia anche un importa progetto di accordo sociale interprofessionale, coinvolgendo le parti sociali.

E l’economia? Nessun problema, anzi. Il primo trimestre 2011 – sono già sei mesi che non c’è il nuovo esecutivo – il pil cresce dell’1,1%, recuperando il livello pre-crisi, superando dello 0,4% il livello del secondo trimestre 2008. L’economia belga chiuderà il 2011 con un lusinghiero +1,8%. Bene anche il mercato del lavoro: i disoccupati nel 2011 scendono al 7,2% contro l’8,3% del 2010. Scende anche il deficit, che cala al 3,7% del pil contro il 3,8%. In autunno – sempre senza governo – i partiti varano un piano per il rientro sotto la soglia del 3% entro il 2015. Intanto gli investimenti esteri vanno a gonfie vele, la società cinese Geely, proprietaria di Volvo, a marzo 2011 annuncia assunzioni per il suo impianto a Gand.

La popolazione, però, non è contenta, né lo sono i media. «In questi 12 mesi – avvertiva nel giugno 2011 il quotidiano francofono Le Soir – abbiamo assistito a una marcescenza, lenta e sotterranea, dell’idea di Stato belga». «Pensare che si possa continuare a vivere in questa sorta di “quarta dimensione” è una pericolosa illusione», fa eco il fiammingo De Standaard. Il 23 gennaio 2011 scendono in piazza 35.000 persone per protestare contro la mancanza di governo, con striscioni con su scritto «vergogna!». A febbraio, quando viene stracciato il record iracheno dei 249 giorni senza governo, parte la “rivoluzione delle patatine fritte” (simbolo culinario del Belgio insieme alle celeberrime cozze), con proteste un po’ ovunque nelle principali città del paese. Non mancheranno iniziative come la proposta dell’attore Benoit Poelvoorde di non radersi più fino alla formazione del governo, o quella della senatrice Marleen Temermann, rivolta alle donne: sciopero del sesso fino a che non sarà risolta la crisi.

Umori popolari a parte, c’è una cosa che l’Italia non può ignorare: se il Belgio ha funzionato anche senza governo è soprattutto per il suo assetto fortemente federale. La massima parte delle competenze non è dello Stato centrale (responsabile di questioni d’interesse nazionale, come la Difesa, la Politica estera, il sistema pensionistico), ma delle regioni federali (Fiandre, Vallonia e Regione Bruxelles Capitale), responsabili di sanità, trasporti, istruzione, politiche economiche e per il lavoro, persino del commercio estero, con i rispettivi parlamenti locali. E tutte e tre le regioni hanno avuto per tutta lunga crisi federale governi regolarmente in carica e funzionanti. Per l’Italia, tuttora lontana dal vero federalismo, è tutta un’altra storia. 

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