Italia e Germania hanno sistemi di istruzione secondaria simili, basati sulla presenza di scuole generaliste e scuole tecniche. A livello terziario (università o simili), invece, i sistemi sono molto diversi, uniforme quello italiano e centrato sull’Università, distinto tra Università e Fachhochschulen quello tedesco.
Le Fachhochschulen sono istituti di istruzione e formazione tecnica superiore che erogano esclusivamente titoli di studio equiparati a quelli universitari di primo livello, ovvero la formazione terziaria avanzata (Master e Dottorati) resta prerogativa delle Università. Molte aziende preferiscono assumere nuovo personale laureato nelle Fachhochschulen invece che nelle normali università. In Germania si contano circa 200 istituti di questo genere, si occupano di economia agraria, design, tecnica ingegneristica, economia aziendale e settore sociale (per esempio i paramedici) per un totale di circa 350 professioni.
I dati Ocse indicano che i tassi di immatricolazione terziaria per le coorti recenti sono molto simili in Italia e Germania, approssimativamente il 50%. Tuttavia, mentre in Italia tutti questi studenti vengono assorbiti dall’unica istituzione presente a questo livello, in Germania metà delle immatricolazioni si rivolge agli istituti di formazione superiore (Fachhochschulen o equivalenti). In totale un terzo dello stock di tutti gli universitari frequenta gli istituti di formazione superiore la cui crescita in termini quantitativi è stata vertiginosa negli ultimi 10 anni (in Svizzera le Fachhochschulen costituivano il 5% dello stock degli universitari nel 1997 e oggi costituiscono il 30% come in Germania). Questa evidenza indica che le Fachhochschulen sono tutto tranne che università di serie B e che hanno di fronte un mercato in ampia espansione contrariamente alle università tradizionali.
A fronte di ciò, la disoccupazione giovanile relativa in Germania è la più bassa tra i paesi Ocse (il tasso di disoccupazione dei giovani è una volta e mezzo quello degli adulti), in Italia è fra le più elevate (con un rapporto giovani adulti di tre volte e mezzo). Ovviamente la differente struttura formativa è solo una delle possibili spiegazioni della differente performance occupazionale, ma è comunque un fatto rilevante.
Se volessimo avvicinarci al sistema tedesco da dove partiremmo? Partiamo dal considerare quanti sono gli apprendisti in Italia. In Italia esistono gli apprendisti ma è limitato sostanzialmente a chi ha un titolo di studio di scuola secondaria professionale.
Rapporti di lavoro attivati per tipologia di contratto, ripartizione geografica
II trimestre 2012 (valori assoluti)
La tabella sopra mostra il numero di rapporti di lavoro attivati nel II trimestre del 2012. I contratti di apprendistato sono pochi (il 3% del totale), meno dei contratti di collaborazione, concentrati nel nord Italia dove sono in numero pari tra uomini e donne mentre sono molto meno diffusi al sud (dove peraltro sono limitati ai lavoratori uomini). I dati amministrativi segnano dei numeri molto più alti perché colgono anche i rapporti di apprendistato di breve durata. Questi tuttavia sono gli apprendisti usciti dalla scuola secondaria. Per raggiungere i numeri tedeschi ci servirebbe un sistema duale di università come quello tedesco.
Perché allora la riforma Fornero insiste ancora sul contratto di apprendistato? Perché l’apprendistato serve. Il sistema universitario italiano sembra produrre una grande quantità di laureati la cui qualità non risponde alle esigenze delle imprese, soprattutto a livello di laureati triennali.
I corsi di laurea di primo livello non sono in grado di fornire delle competenze immediatamente spendibili sul mercato. Ciò si è tradotto da un lato nel sostanziale insuccesso dei titoli di primo livello (circa il 70% dei laureati triennali ha proseguito gli studi nel biennio specialistico), dall’altro nell’arretramento delle immatricolazioni registrato negli anni recenti. Cosa non ha funzionato? Il problema di fondo sta nell’avere utilizzato un’unica istituzione tradizionalmente votata alla formazione di carattere generalista (l’Università) per perseguire un duplice obiettivo: continuare a offrire competenze analitico-generaliste e iniziare a erogare le competenze ad elevato contenuto tecnico in grado di rendere appetibili i laureati triennali alle imprese.
Con un solo strumento non è possibile raggiungere due diversi obiettivi; nel migliore dei casi se ne raggiunge uno solo, nel peggiore si fanno male entrambe le cose.
Per far decollare l’apprendistato in Italia servirebbe toglierlo dalle competenze regionali (oggi sono le regioni che emanano, spesso con grande ritardo, le normative di applicazione sui contratti di apprendistato) e soprattutto istituire anche in Italia un sistema duale di università in cui il contratto di apprendistato diventi parte integrante di un percorso di studio post scuola secondaria.