Tutto come prima. Anzi, peggio. Per ora, la Banca centrale europea ha fallito il suo obiettivo principale, ripristinare il meccanismo di trasmissione della politica monetaria. Lo scorso 26 luglio, dalla Global Investment Conference di Londra, il numero uno della Bce Mario Draghi lanciò un segnale ai mercati finanziari. «All’interno del proprio mandato, la Bce è pronta a fare qualunque cosa per preservare l’euro… e credetemi, questo basterà», disse Draghi. Gli scopi di quel discorso erano diversi. Da un lato, la riduzione del crescente rischio di convertibilità dell’euro. Dall’altro, la nascita di un meccanismo di protezione degli Stati più sotto pressione. In mezzo, la diminuzione degli squilibri fra il cuore della zona euro e la periferia. Un target, quest’ultimo, ancora non raggiunto. E le armi della Bce sono sempre meno.
I tassi d’interesse dei prestiti retail in Italia e Spagna hanno ricominciato a salire. Proprio come successo lo scorso anno, più il tasso d’interesse di rifinanziamento delle Bce si abbassa, più i tassi retail delle banche dei Paesi periferici si alzano. Una spirale della morte per le imprese, soprattutto medio-piccole, delle nazioni in recessione. Considerando l’entità della contrazione economica italiana, peggiore delle aspettative, si tratta di uno scenario in grado di deprimere ancora l’economia del Paese. Come ha evidenziato Goldman Sachs, i principali beneficiari della politica monetaria della Bce sono state Francia e Germania.
A inizio 2012 il tasso d’interesse per i prestiti fino a un milione di euro, con scadenza compresa fra 1 e 5 anni, in Germania era del 4,5%, in Francia del 4,6 per cento. Di contro, in Spagna era del 6,3% e in Italia del 6,45 per cento. Dopo il discorso di luglio di Draghi è iniziata la discesa. In Italia si è arrivati, sul finale dell’anno scorso, sotto quota 5,5 per cento. In Spagna, nello stesso intervallo temporale, i tassi retail sono scesi fino al 5,65 per cento. Poi, la risalita, tanto veloce quanto improvvisa. Secondo gli ultimi dati elaborati da Goldman Sachs, i tassi iberici sono tornati al 6%, mentre quelli italiani a 5,8 per cento. In entrambi i casi, spiega la banca statunitense, il trend è in crescita. Al contrario, il declino dei tassi retail in Francia e Germania sembra non conoscere freni. A inizio anno le imprese tedesche si finanziavano al 3,5%, il livello più vantaggioso dal 2005, e quelle francesi al 3,7%, il minimo dal primo trimestre 2010.
Ancora una volta, nonostante le rassicurazioni di Francoforte, gli squilibri si sono acuiti. «È come se esistessero due parti diverse dell’eurozona – spiega J.P. Morgan – Una, il cuore, che si finanzia a basso costo. L’altra, la periferia, che non riesce ad avere accesso al credito». Il circolo vizioso che doveva essere rotto da Draghi è ancora in piedi. E si sta amplificando. In questo modo, continua J.P. Morgan, è facile che la recessione sia ben più pesante in Italia e in Spagna.
Gli assi nella manica della Bce non sono pochi, ma stanno diminuendo velocemente. Anzi. Nonostante si parli di un imminente taglio di 25 punti base del tasso di rifinanziamento principale, che toccherebbe un nuovo minimo storico a quota 0,50%, è difficile che il Consiglio direttivo decida per una misura di questo genere. Se il meccanismo di trasmissione della politica monetaria è ancora rotto, perché allentare i cordoni? La risposta è da ricercare nel tasso d’inflazione, in diminuzione. In tal modo, la Bce permetterebbe alle banche dell’eurozona di avere più ossigeno, con la speranza che si trasformi in prestiti per le imprese nei Paesi periferici. A peggiorare la situazione delle banche europee ci ha pensato la decisione della Bce di tagliare a zero il tasso d’interesse sui depositi overnight parcheggiati presso Francoforte. In questo modo, Draghi pensava di poter convogliare la liquidità nel sistema economico della zona euro e di ripristinare la fiducia perduta. Invece, le banche hanno perso un’importante finestra di remunerazione, che ne ha limitato la profittabilità. Meno profitti, più ricerca di remunerazione dalle imprese a cui sono stati concessi i prestiti, più credit crunch. E non è un caso che il presidente della Bundesbank Jens Weidmann abbia sottolineato che l’introduzione di tassi negativi sui depositi potrebbe avere «severe conseguenze» sulle banche dell’eurozona. In altre parole, se anche la Bce optasse per questa soluzione, i danni potrebbero essere più dei benefici, dato il clima di sfiducia nel mercato interbancario.
Ci sono poi le operazioni di rifinanziamento a lungo termine, o Long-term refinancing operation (Ltro). Dopo i primi due round di dicembre 2011 e febbraio 2012, che hanno immesso liquidità a 3 anni per un valore complessivo di 1.030 miliardi di euro, sono iniziate le azioni di rimborso da parte delle banche europee. La velocità di rimborso è buona, sottolinea Goldman Sachs, ma saranno probabilmente necessarie nuove Ltro per ripristinare la liquidità perduta. L’altra arma, sempre nei limiti del mandato dell’istituzione di Francoforte, è rappresentata dal misure di easing sui collaterali che le banche danno a garanzia per i prestiti. Anche in questo caso, tuttavia, si tratterebbe di azioni con un limitato effetto lenitivo.
La recessione in Italia, unita allo stallo politico derivato dell’inconcludente tornata elettorale, rischia di amplificare il credit crunch. Come ha ricordato il centro studi di Confindustria pochi giorni fa, il settore italiano del credito è in piena emergenza. Secondo la Banca d’Italia a gennaio i prestiti al settore privato sono calati di 1,6 punti percentuali su base annua, il peggiore risultato da 14 mesi. Non solo. L’allarme dato da Confindustria non deve essere sottovalutato. O si aiutano le piccole e medie imprese (Pmi), soprattutto liberando circa 48 miliardi di euro di debiti commerciali sulle spalle della Pubblica amministrazione, o l’Italia rischia una terza ondata di credit crunch dopo quella del 2009 e quella del 2012. Il motivo è chiaro specie se si guardano i dati delle sofferenze bancarie. La Banca d’Italia ha evidenziato nel suo ultimo rapporto che a gennaio il livello di sofferenze è salito del 17,5% su base annua. Secondo l’ultimo rapporto sulle banca italiane a cura di Mediobanca Securities, i crediti problematici netti (sofferenze, incagli, ristrutturati e scaduti) sono pari a 124,002 miliardi di euro. Tanti, troppi. A tal punto che Mediobanca propone la creazione di una bad bank da 18 miliardi di euro, utile però ad assorbire solo una parte dei 49,936 miliardi in sofferenze.
Che le criticità nel sistema monetario europeo siano ancora elevate non è una novità. Il membro del board esecutivo della Bce Benoît Cœuré ha oggi affermato ciò che tutti sapevano già da settimane. «Ci sono persistenti difficoltà nella trasmissione della politica monetaria della Bce», ha spiegato Cœuré. In particolare, le maggiori difficoltà ci sono sul mercato interbancario, la principale finestra di liquidità a breve e medio termine per gli istituti di credito. Secondo i calcoli di ICAP, negli ultimi quattro mesi gli scambi sull’interbancario sono diminuiti del 12%, una flessione simile a quella registrata fra l’aprile e il luglio 2012. Prima, quindi, che arrivasse il discorso di Draghi.
Sotto stress è anche il mercato dei repurchase agreement (pronti contro termine, o repo). Come evidenziato dal Financial Times a inizio settimana, questo settore è calato dell’11,9%, su base annua, nel corso del 2012. Da quota 6.200 miliardi di euro si è passati a 5.600 miliardi. Sempre secondo ICAP, che ogni giorno mappa il mercato dei repo in Europa, bisogna attendersi nuovi cali nel corso del 2013. L’Italia però sta vivendo un momento vivace, spiega ICAP. «Merito del grande stock di debito pubblico italiano circolante, i volumi italiani sono elevati», dice la casa londinese. «I mercati di breve termine in merito all’Italia funzionano bene e i tassi sono interessanti, quindi gli operatori hanno interesse ad aprire posizioni», fa notare ICAP. Di contro la Spagna continua ad aver problemi, data la scarsa liquidità degli operatori domestici, i più attivi su quel mercato. Infine, la Germania. Per Berlino il mercato dei repo è quello che, secondo ICAP, ha tratto il maggiore giovamento dalle misure della Bce. Nonostante questo, la liquidità è rimasta imprigionata all’interno dei confini tedeschi e non si è diluita.
Quello che farà la Bce nei prossimi mesi sarà cruciale per Italia e Spagna. Senza una ripartenza del credito, le piccole e medie imprese italiane e iberiche rimarranno presto senza ossigeno, amplificando l’impatto della recessione. Dato che un taglio dei tassi potrebbe non essere la soluzione più adeguata, complice un meccanismo di trasmissione della politica monetaria ancora non funzionante, è facile che si decida per nuove Ltro. Saranno poi le banche dei singoli Paesi a dover sostenere il sistema industriale. Un’operazione, questa, resa ancora più difficile nel caso la pressione degli investitori sul mercato obbligazionario torni a essere elevata. La dinamica delle ultime aste di titoli di Stato italiane, per esempio, hanno confermato la tendenza in atto da oltre un anno: più acquisti dai domestici e meno dagli stranieri. In altre parole, c’è il rischio che anche un nuovo Ltro possa essere sfruttato dalle banche italiane (e spagnole) per il rollover dei bond italiani (e iberici) in portafoglio e per il sostegno alle aste primarie del Tesoro. Se così fosse, la Bce avrebbe fallito un’altra volta. E la crisi dell’eurozona tornerebbe a farsi sentire, più forte e virulenta di prima.