Suicidi, la Spoon River del Nord che Roma non capisce

Gli effetti della crisi

Sembra una macabra staffetta, quella della catena dei suicidi degli imprenditori. Soprattutto più est, a Nordest, dove si discute se il suo modello produttivo abbia ancora degli anticorpi per resistere alla crisi o sia fallito.

L’ultimo ad alzare bandiera bianca, ad alzare le mani in segno di resa, nel silenzio assordante di una guerra che non è mai stata dichiarata, è stato un imprenditore di Vicenza, Elia Marcante. Mercoledì scorso si è tolto la vita nel suo stabilimento, Zimac, a Schio. Si è impiccato nel suo capannone, simile ai tanti capannoni che una volta erano emblema e vessillo di un Eldorado, e oggi si sono trasformati nel teatro di una tragedia collettiva. Anche lui, come molti altri prima di lui, ha lasciato solo un messaggio in cui chiede scusa ai familiari. Anche lui, come altri prima di lui, si è tolto la vita, anche se l’azienda, creata 40 anni fa, non rischia di chiudere. E probabilmente ha deciso di arrendersi solo per un opprimente sentimento di fallimento, perché non sopportava il lento declino della produzione. Perchè probabilmente, per lui, era una questione di onore. Come ha spiegato Giuseppe Bortolussi, direttore della Cgia di Mestre, autore del libro, L’economia dei suicidi, (edizioni Marcianum Press) in cui ha analizzato il disagio che ha colpito le piccole aziende e, dall’inizio della crisi, ha spinto 56 veneti a togliersi la vita. «Questi uomini si suicidano quasi fosse un rito propiziatorio, nella speranza che i propri figli non si ritrovino ad affrontare le stesse difficoltà», ha dichiarato Bortolussi. Come se la morte purificasse l’impresa dalla loro incapacità di affrontare la crisi economica.

Chissà se qualcuno se ne accorgerà, nel cuore dei palazzi romani, dove si sta conducendo un’altra battaglia – quella per la governabilità e per la difesa dello status quo – , dei fiori che gli imprenditori lasceranno oggi sul selciato, davanti alla Zimac. In memoria di un imprenditore che viene considerato come un combattente per la libertà d’impresa.In una regione, dove la retorica dell’esistenzialismo imprenditoriale è una filosofia di vita, che non è mai riuscita a farsi comprendere dal resto del Paese. Oggi a Schio, di fronte all’azienda di Elia Marcante, gli imprenditori porteranno un vaso di primule. «Vorremmo che lo spiazzo davanti all’azienda diventasse per una sera la vera capitale d’Italia, il luogo dove riflettere su quanto sia dura la crisi anche per gli imprenditori che rischiano di rimanere schiacciati dal peso della crisi che sta attanagliando il nostro sistema economico», ha annunciato Vincenzo Lazzaro, presidente di Unionliberi, un’associazione che sta assistendo molte aziende in difficoltà a districarsi nella morsa di banche e fisco. «Vorremmo vedere in prima fila i politici che in queste ore stanno litigando, mentre il Paese sta rischiando di affondare. Questi morti dovrebbero scuotere le coscienze, invece il rischio è che a Roma non arrivi nemmeno l’eco delle loro tragedie». Potremmo provare a metterli tutti in fila, gli imprenditori che si sono tolti la vita, per evocare spettri e fantasmi di martiri di una guerra dimenticata, che si combatte con sorda e muta disperazione nei distretti manifatturieri. A Nordest, a Nordovest, e anche più a sud, in Puglia, dove due giorni fa è stato trovato morto, probabilmente suicida, un altro artigiano. Dopo che a Perugia, un altro imprenditore, dilaniato dal pensiero ossessivo di non poter ottenere l’accreditamento per la sua azienda, ha ucciso due impiegate della Regione, prima di suicidarsi. Si tratta di un altro dramma, accolto quasi con indifferenza dall’opinione pubblica, come se ormai fossimo impotenti davanti alle meteori che stanno devastando il sistema Italia, tanto decantato.

Anche se forse impressionano di più se avvengono in una terra plasmata dalle piccole e medie imprese, epicentro del capitalismo molecolare, che costituisce ancora oggi il centro nevralgico e parte essenziale della spina dorsale del sistema economico. Probabilmente nessuno ascolterà l’appello indignato del governatore veneto, che ha provato a richiamare l’attenzione verso gli imprenditori, alle prese con il calo degli ordini, una crisi strutturale, l’asfissia del microcredito. «È un bollettino di guerra», ha dichiarato Luca Zaia «sintomo delle profonde e insormontabili difficoltà in cui si dibatte un intero territorio. Cifre che assumono proporzioni drammatiche proprio perchè il territorio stesso è disseminato di imprese. Oltre 600 mila partite Iva che non vivono di assistenzialismo e chiedono soltanto di poter lavorare bene e tanto, che si ritrovano di fronte a una pressione fiscale che sfiora il 70 per cento e le espelle dal mercato». Ecco perchè in Veneto, come nel resto del Paese, si è creata una rete di mutuo soccorso per impedire che la catena dei suicidi si trasformi in una pandemia. Come il team di psicologi, creato dalla Regione Veneto (il numero verde è 800/334343) nel giugno scorso per aiutare imprenditori in crisi. O ancora dell’associazione Imprese che resistono (impresecheresistono.org), un movimento spontaneo di piccole e medie aziende, creato per dare sostegno e voce a chi teme di non farcela più.

E così, dopo l’ennesimo suicidio, in Veneto, si è levato un coro di proteste. Con un fragoroso, seppur angoscioso, dibattito. Ildebrando Lava, presidente della Confartigianato di San Donà di Piave, ha lanciato un severo monito per ricordare che il disagio rischia di diffondersi anche fra i figli degli imprenditori, l’ultima generazione a cui erano destinate le aziende in crisi. E ora, davanti alla tragedia di un altro imprenditore, Stefano Busato, 47 anni, che nel frattempo, il 5 marzo, si è suicidato nella provincia di Treviso, dopo un incendio nella sua azienda di trattamento termico per i metalli, Ebla, si fanno i conti. Con quella soglia di disperazione che, una volta superata, non permette più di trovare la strada del ritorno. E con quel saldo negativo, un record nazionale, di 2.770 imprese in meno rispetto a quelle nuove, che nel 2012 hanno cessato la propria attività. Un dato che fa a pugni con il Pil veneto, pur sempre significativo, 133 miliardi e 607 milioni di euro nel 2011, e i 69 miliardi di tasse versate allo stato, nel biennio 2008-2010, di cui ne sono tornati indietro solo 50, facendo pensare ai veneti di versare molto sangue a un Paese, che non lo merita.

Qualcuno ci ha provato, a compilare il bollettino di guerra, di tutti lavoratori e imprenditori uccisi dalla crisi, ma l’elenco si è fermato nell’aprile 2012, forse perchè chi lo ha stilato, ha battuto la ritirata, come gli imprenditori suicidi. Incapace di continuare a guardare nello specchio di questo abisso contemporaneo.

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