Forse per capire cosa si sta sgretolando in Veneto, dopo l’arresto, clamoroso, due settimane fa, di uno degli imprenditori più potenti della regione, Piergiorgio Baita – ex presidente della Mantovani Costruzioni e capo cordata di un’influente lobby che da 15 anni si aggiudica gli appalti più importanti per le grandi opere – bisognerebbe solo evocare un’immagine. Quella di undici noti imprenditori che, il 19 ottobre 2009, tendono un agguato a Berlusconi, all’aeroporto Marco Polo per chiedergli di ripensarci, di non permettere la staffetta che consegnerà il governo veneto nelle mani della Lega. In quel gruppo di uomini di affari, lobby tenace con solide imprese alle spalle, che chiede al Cavaliere di non distruggere il sistema Galan, c’era anche Baita, ora in carcere, accusato di associazione a delinquere per frode fiscale. Secondo gli inquirenti le false fatturazioni, emesse a partire dal 2005 da una cartiera creata appositamente a San Marino per avere a disposizione dei fondi neri, sarebbero servitie ad avere anche protezioni politiche.
Nell’ordinanza di custodia cautelare il gip Alberto Scaramuzza, che convalida gli arresti del presidente della Mantovani, il suo direttore finanziario, l’Ad di Adria Infrastrutture, Claudia Minutillo, ex segretaria di Giancarlo Galan (poi scarcerata dopo la confessione) e il presidente della cartiera Bcm broker di San Marino, William Colombelli, sottolinea solamente il pericolo che gli indagati, se lasciati in libertà, commettano gli stessi reati per via di un «un sistema ancora in atto poi prestato ad altre società che risultano operare in consorzio temporaneo d’impresa con il gruppo Mantovani e alcune società impegnate nella realizzazione del Mose di Venezia». Come ad esempio Consorzio Venezia Nuova, un cartello di aziende, fra cui c’è anche la Mantovani, associato per i lavori del Mose (il cui presidente è l’ingegnere Giovanni Mazzacurati, considerato il maestro professionale di Baita, con cui ha intuito e sfruttato le potenzialità del project financing, anche lui presente nella foto di gruppo nel 2009, all’aeroporto Marco Polo). E poi Veneto Strade, Veneto acque, Passante di Mestre, solo per citare le partecipate regionali più note che appaiono nell’ordinanza di custodia cautelare. «E’ stata infatti rinvenuta traccia di diverse fatture emesse da Bmc Broker S.r.l. nei confronti di altre società, tra cui Consorizio Venezia Nuova, Thetis S.p.A., Palomar s.r.l., Dolomiti Rocce S.r.l., Veneto Strade S.p.A., Veneto Acque S.p.A., Passante di Mestre S.c.p.a., Tressetre S.c.a.p.a.», si legge sempre nell’ordinanza di custodia cautelare. Un’accusa molto pesante, che ha indotto la giunta veneta a creare immediatamente una commissione d’inchiesta, per fare chiarezza sui risvolti dell’indagine giudiziaria che coinvolge sì la Mantovani, ma anche diverse partecipate regionali.
Un’indagine voluta dal presidente Luca Zaia, che dal giorno del suo insediamento cerca di districarsi, senza riuscirci, fra le varie ingombranti eredità dell’era galaniana, ma anche richiesta dai consiglieri di opposizione, che hanno fatto diverse interpellanze sulla mancata trasparenza delle gare nella pubblica amministrazione. Il consigliere regionale di Verso Nord, Diego Bottacin, ha presentato poi un emendamento per trasformare la commissione d’inchiesta sui lavori pubblici in una commissione che verifichi il tasso di concorrenza e libertà di mercato nel Veneto. Con una verifica dei rapporti fra le partecipate e aziende residenti all’estero. Come dire, il tappo è saltato o almeno sta saltando nella terra dei capannoni e del capitalismo molecolare. Tanto è vero che ora, a Nordest, si sta riaprendo il dibattito a lungo tabù – un dibattito reso più drammatico dalla crisi, dai suicidi, dalle aziende che chiudono – sulla mancata concorrenza e sulle gare d’appalto, forse, pilotate. Come? Grazie al ricorso del controverso strumento del project financing, capitale privato che si avvale dei finanziamento pubblico e si aggiudica la gara attraverso trattative private, che favoriscono gli investitori. Forse non solo perché erano i più bravi, come ha sostenuto e continua a sostenere l’ex governatore Galan, pensando anzitutto proprio alla Mantovani di Piergiorgio Baita, colosso delle costruzioni, prima impresa in Veneto, undicesima in Italia la quale, consorziata con altre imprese, ha vinto tra gli appalti più importanti del nord Italia: dal passante di Mestre al Mose fino alla piastra espositiva dell’Expo di Milano.
Baita in particolare è accusato di associazione a delinquere per 20 milioni di euro di fatture false, di cui 10 però prescritti, emesse dalla Bcm brooker di san Marino, guidata dal console onorario di San Marino, William Ambrogio Colombelli, a vantaggio della Mantovani e di Adria Infrastrutture, la cui Ad è appunto Claudia Minutillo, ex fedelissima segretaria dell’ex governatore Giancarlo Galan. Ora, agli arresti domiciliari, Minutillo ha ammesso le sue responsabilità, ma sul verbale del suo interrogatorio stanno circolando leggende di ogni tipo. Ad esempio la ex segretaria avrebbe ammesso di aver conosciuto Colombelli, che le consegnava parte del denaro delle fatture false da riportare a Baita, a casa dell’avvocato berlusconiano Nicolò Ghedini, dove il console onorario di San Marino le è stato presentato dall’ex governatore Galan.
Secondo gli inquirenti, quei fondi neri sottratti al fisco da una società di grande rilievo sarebbero serviti a pagare tangenti. Ipotesi, per ora difficile da dimostrare, visto che lui, Piergiorgio Baita, sopravvissuto a Tangentopoli, dopo un passaggio nelle patrie galere nel 1992, a parlare non ci pensa proprio. Così come non ha parlato, Lino Brentan, ex Ad della società Autostrade di Venezia e Padova, arrestato un anno fa per corruzione. Uomo targato Pd, ex assessore provinciale, finisce nella rete dei magistrati dopo l’arresto di due funzionari del settore edile della Provincia di Venezia, Claudio Carlon e Domenico Ragno, indagati per aver favorito una ristretta cordata di imprese fra il 2005 e il 2010, frazionando gli appalti per piccole somme e poter così aggirare i vincoli dei bandi di gara, con assegnazione dirette. Un sistema che Brentan adotta anche nella sua società. Ed è seguendo le tracce lasciate da Brentan, condannato a quattro anni di detenzione nel luglio dell’anno scorso per aver incassato tangenti da quattro imprenditori in cambio di appalti, che si arriva alla società-asso-piglia-tutto Mantovani di Piergiorgio Baita. Uno di cui Galan ha detto più volte un uomo di grande spessore «professionale, una spanna sopra gli altri da un punto di vista tecnico e manageriale».
Indipendentemente dall’esito dell’indagine giudiziaria, a essere messo sotto accusa è dunque un sistema intero di fare impresa, almeno per quanto riguarda le grandi opere. Per capire come è stato il giro del fumo in Veneto, nell’era Galan, basta leggere il libro “I padroni del Veneto” (Laterza) del giornalista Renzo Mazzaro, in cui descrive in modo efficace gli intrecci sociali e dei grandi capitali nordestini, che riportano sempre sulla stessa strada. O meglio, alle stesse cordate. O meglio sempre agli stessi nomi: Gemmo impianti, Studio Altieri, Mantovani Costruzioni. Che poi vuol dire Irene Gemmo, voluta da Galan alla guida della controversa finanziaria della Regione, Veneto Sviluppo, lasciata fra molte polemiche nel 2009, dopo aver accusato la burocrazia politica di miopia e respinto ogni accusa di conflitti d’interesse durante la sua triennale guida alla presidenza della finanziaria. Studio Altieri fondato dall’ingegnere Vittorio che fu compagno di Lia Sartori, ex socialista, artefice della scalata di Galan ai vertici della Regione, potente presidente del consiglio regionale nella giunta Galan.
Ecco qualche esempio fornito da Mazzaro. L’appalto per l’ospedale dell’Alto Vicentino? Progetto esecutivo dello Studio Altieri, offerta vincente dall’Ati (Associazione temporanea di imprese) Mantovani-Gemmo-Cmb: 143,5 milioni di euro, investimento dei privati 70 milioni. L’appalto per l’ospedale unico della Bassa Padovana? Project a promotore pubblico, progetto esecutivo dello Studio Altieri con Net Engineering, valore totale dell’opera 140 milioni di euro, inclusi gli espropri dell’area, gara vinta dall’Ati Gemmo-Sacaim-Carron. La Città della salute? Un progetto da 1.650 milioni di euro, avviato durante la giunta Galan con uno studio di fattibilità presentato da Bovis e Palladio Finanziaria, consulenza di Mantovani. Prevedeva un ospedale da 1.500 posti letto, opere di viabilità e infrastrutturazione urbana, un centro di ricerca unificata, insediamenti universitari. Il governatore Zaia riduce però drasticamente i posti letto, portandoli da 1.500 a 900, ridimensiona la parte sanitaria ed elimina le altre funzioni, arrivando ad un costo complessivo di 700 milioni di euro. A fine dicembre 2011 il nuovo progetto è al vaglio di una commissione tecnica che deve indicare dove e come reperire le risorse.
Insomma intorno alla laguna, scorre un mare di soldi pubblici: dal 2006 al 2009 si stima che il mercato delle opere pubbliche regionali sia valso 2,5 miliardi di euro. Escludendo il Mose, finanziato dallo Stato per oltre 4 miliardi di euro. Ed escludendo il Passante di Mestre, finanziato a metà fra Stato e Regione, partito con un costo di 650 milioni e arrivato al saldo con 850.
Poi ci sono le autostrade. Qualche esempio a caso, e non per ordine di importanza, tanto per dimostrare che il gioco non cambia mai. In associazione con Pizzarotti, la Mantovani presenta il project per il prolungamento dell’autostrada A27 Mestre- Belluno, da Pian di Vedoia a Longarone: 1 miliardo e 500 milioni di euro. A fine 2011 l’offerta risulta già dichiarata di pubblico interesse dalla giunta regionale e il progetto attende l’approvazione del Cipe. Costa invece 1 miliardo e 600 milioni di euro il sistema delle tangenziali dell’area centrale veneta, che parte da Verona- Peschiera e arriva a Padova-Vigonza, correndo a fianco dell’autostrada Serenissima. Anche questo project, in fase di approvazione preliminare dal Cipe, è promosso da Mantovani-Pizzarotti. Senza contare la Nogara Mare, 1,8 miliardi di euro. Un project financing per 107 chilometri: valore 1 miliardo e 911 milioni di euro. Anche qui l’Ati proponente è Mantovani, Astaldi, Itinera, ma il presidente della società è stato fino a due mesi fa Lino Brentan, agli arresti domiciliari per scontare una pena di 4 anni.
Ora che il tappo è saltato, si è rotto il tabù intorno alla lobby dei soliti noti, tutti fanno l’elenco dei monopoli in salsa veneta. C’è chi racconta della Serenissima Ristorazione spa, la ditta che vince due appalti su tre negli ospedali del Veneto, diretta da uno che poi di cognome fa pure Putin. Una presenza ingombrante negli appalti per la ristorazione, nei servizi di pulizie e nella logistica della sanità veneta tale da indurre un operatore, l’ingegner Pietro Auletta, amministratore delegato di Dussmann Italia, a scrivere al presidente Luca Zaia, da poco insediato nel 2010: «In nessun’altra regione italiana si sono consolidate posizioni tanto rilevanti in capo a operatori economici dei settori, siano essi società singole, come accade nella ristorazione ospedaliera, o afferenti al modello societario cooperativistico nella sanificazione sanitaria, che in Veneto ha assunto un rilievo senza pari». Insieme alla Serenissima, infatti c’e anche Legacoop, un cartello che raggruppa diverse sigle: Coop service, Cns, Copma, Manutencoop e Minerva. Tutte insieme detengono il 71 per cento dei servizi di pulizia – in gergo si dice sanificazione – messi in appalto dagli ospedali veneti, per un valore di 48,5 milioni di euro l’anno. In particolare Serenissima Ristorazione detiene il 61 per cento della quota ristorazione nella sanità veneta, pari ad un fatturato di 31,7 milioni di euro all’anno. Per intendersi Legacoop in Toscana detiene il primo posto nelle pulizie degli ospedali, ma si ferma al 49 per cento.
Naturalmente tutto ciò non significa che queste aziende abbiano per forza agito in modo illecito. Per ora l’indagine si limita a Baita e alle aziende a lui collegate, ma si evince l’articolazione di un sistema di opere pubbliche basato su una sovranità limitata della libera concorrenza. Un problema italiano, ma che in Veneto pare portato all’estremo. O almeno questa è l’accusa che viene fatta da anni da chi è rimasto fuori dai giochi e che è riemersa dopo l’arresto di Baita nelle carte della Procura di Venezia.
Dal giorno del suo insediamento, “il governatore Luca Zaia ha tagliato nastri solo per opere decise da Galan”, dicono i suoi difensori, per far capire quanto sia stato difficile rompere il monopolio della lobby, prima dell’intervento della magistratura. E allora per capire cosa succede o succederà nel Veneto squonquassato da indagini, crac finaziari e imprenditoriali, crisi e fallimenti, abissi e ripartenze di aziende che ce la fanno, bisogna ricordarsi di quell’imprenditore che nell’era Galan, predisse: «O cambiamo classe dirigente noi, o ci penserà la magistratura». Ora il pm che indaga, Stefano Ancillotti, aspetta la documentazione della Bcm Broker per capire il traffico dei flussi finanziari che partivano e transitavano da San Marino grazie alla cricca delle fatture false. Nel frattempo si esaminano i documenti trovati nelle abitazioni degli indagati, che testimonierebbero il viaggio di quella valigia portata a mano dall’ex segretaria di Galan, da San Marino all’ex presidente della Mantovani, Baita, (cifre grosse, in un caso anche un milione di euro). Dunque, Il gioco della torre è iniziato. Anche letteralmente, visto che sabato scorso è stato appiccato un rogo in un cantiere della Mantovani, dove sono stati bruciati due automezzi impiegati per il Mose, alla bocca di porto di Malamocco. Come dire sul sistema Nordest piovono macigni. Con buona pace di quella classe dirigente, che per un decennio ha pontificato sul miracolo veneto, in nome del libero mercato…