Telecom, è ora di sciogliere il salotto buono di Telco

Gli strali di Fossati e quelli di Diego Della Valle

La bolla delle telecomunicazioni è scoppiata. Le società europee del settore non torneranno mai più ai livelli che hanno sfiorato dal 2003 al 2007, né tantomeno ai picchi del 2000. Anzi: Deutsche Bank ha calcolato che, fatto 100 il valore del titolo nel 2000, Telecom Italia oggi vale 8, France Telecom 6 e Deutsche Telekom 7. Un tonfo che la crisi giustifica soltanto in parte. Da un lato c’è il progressivo sviluppo delle offerte voce e mail, e dall’altro la naturale maturazione di un mercato che vede l’81,4% degli italiani possessore di un cellulare e il 47% di uno smartphone (dati Eurispes). 

Tanto che le nuove aste per le nuove frequenze, un po’ in tutta Europa, sono state accolte con freddezza dagli incumbent. Il perché è intuibile: due anni fa, complessivamente, Telecom, Wind e Vodafone hanno sborsato 4 miliardi di euro per le frequenze 4G. Non proprio noccioline. Le strade sono due: o si punta forte sui nuovi mercati, oppure si continuano a spremere i margini su quelli domestici, con l’incognita – lato Telecom – dell’obsoleta rete in rame.

Il momento è dunque perfetto per sciogliere il patto di sindacato che lega gli azionisti forti di Telco, holding partecipata da Telefonica, Generali, Mediobanca e Intesa Sanpaolo che continua a svalutare la partecipazione nel capitale dell’ex monopolista. I soci italiani – con l’eccezione di Intesa Sanpaolo – hanno fatto intendere che la riflessione sulla centralità della quota è piuttosto profonda. Nel corso della presentazione degli ultimi conti, l’amministratore delegato del Leone, Mario Greco, ha confermato di voler valutare se le partecipazioni porteranno o meno benefici agli azionisti. Al termine del consiglio d’amministrazione dello scorso 22 marzo, invece, è trapelato dalle parti di Piazzetta Cuccia che il numero uno Alberto Nagel sarebbe pronto ad alleggerire il portafoglio. Il consigliere delegato di Intesa, Enrico Cucchiani, non parla ma fonti a lui vicine ammettono che le continue svalutazioni del titolo gli abbiano provocato più di qualche mal di pancia. A novembre, oltrettutto tocca rifinanziare 1 miliardo di prestito in scadenza, e la prima scadenza del patto di sindacato è il prossimo settembre, a valere a marzo 2014.

Non è un caso che, in questi giorni, è tornato a farsi sentire Marco Fossati, azionista Telecom al 4,9 per cento. Secondo Repubblica, l’ex patron della Star vorrebbe tentare di far approvare dall’assemblea, convocata il prossimo 17 aprile, la sfiducia al management. Fonti interpellate da MF Dow Jones invece rivelano che sarebbe pronta un’integrazione all’ordine del giorno per chiedere una riduzione dei consiglieri espressi da Telco, attualmente pari a 12 su 15. Dopo essersi espresso a favore dello scorporo della rete e a favore dell’ingresso – poi respinto – del magnate egiziano Naguib Sawiris, Fossati ha trovato uno spiraglio per picconare ancora. Per carità, a guardare il confronto con gli altri operatori internazionali, la ragione è dalla sua. Dal 3 dicembre 2007, quando Franco Bernabè è tornato in Telecom da amministratore delegato, il titolo ha lasciato sul terreno il 74%, France Telecom il 68%, Deutsche Telekom il 45%, Telefonica il 53% e Vodafone soltanto l’1,3 per cento. 

Clicca sull’immagine per vedere il confronto tra Telecom e le telco europee da quando Bernabè è stato nominato a.d. della società

Telecom, dunque, è andata peggio dei suoi pari. Eppure un modo per contare di più ci sarebbe: entrare al 30% di Telco. Oppure, esagerando, lanciare un’Opa. Solo attraverso questo strumento il management sarebbe costretto da un lato a rispondere formalmente, dall’altro a essere responsabile della scelta nei confronti degli azionisti. Oggi il titolo, sospeso per eccesso di ribasso intorno a mezzogiorno per via delle bocciature di Barclays e Morgan Stanley, ha chiuso a 54 centesimi.

La società oggi ha una capitalizzazione di 7,6 miliardi e un capitale sociale di 7,3 miliardi. Ipotizzando un premio del 30% e considerando Telecom è stata svalutata a 1,2 euro per azione – le azioni Telco sono divise tra 1.438.256.387 azioni di categoria A che rappresentano il 53,82% del capitale sociale 1.234.128.374 azioni di categoria B che rappresentano il 46,18% del capitale sociale – salire al 30% costerebbe 1,2 miliardi. Caso diverso, ovviamente, andare direttamente sul mercato. Mf Capital, holding lussemburghese che fa capo a Fossati, ha chiuso il 2011 (ultimo bilancio disponibile) in perdita per 6,7 milioni di euro e niente dividendi per la controllata Findim Group, che a sua volta detiene il 5% di Telecom e ha chiuso in rosso per 70 milioni proprio a causa di maxi svalutazioni sul titolo dell’ex monopolista. 

Gli strali di Fossati ricordano quelli di Diego Della Valle contro il salotto buono di Rcs e l’influenza del presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli. Critiche condivisibili, ma per cambiare davvero c’è un’unica strada: mettere mano al portafoglio.

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