Erano 111 i cardinali che il 14 ottobre si riunivano in conclave per eleggere il successore di Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani. Il toto papa si scatena più o meno sugli stessi nomi che erano stati fatti un paio di mesi prima, quando si doveva scegliere il pontefice che avrebbe seguito Paolo VI.
Circola la candidatura, fortissima, di Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova per oltre quarant’anni (morirà nel 1989) assieme a quella di Giovanni Benelli, da appena un anno arcivescovo di Firenze (morirà nel 1982). I due rappresentano le anime contrapposte della chiesa: ultraconservatore il genovese, progressista il fiorentino.
Ma la morte prematura di Giovanni Paolo I, dopo soli 33 giorni di pontificato, ha scompaginato i piani e i giornali fanno i nomi di numerosi altri cardinali, forse troppi per essere credibili.
La Stampa del 15 ottobre elenca una serie di papabili. Tra questi anche l’allora arcivescovo di Milano, Giovanni Colombo (che però ha già 76 anni), l’arcivescovo di Palermo, Salvatore Pappalardo. Si rifanno i nomi dei cardinali Sergio Pignedoli e Sebastiano Baggio, già in lizza nel conclave precedente.
Se nelle prime votazioni si dovesse manifestare troppa incertezza, scrive il giornale, allora potrebbero aumentare le chances degli stranieri: Eduardo Pironio (Argentina), Franz König (Austria), Johannes Willebrands (Olanda).
Siri viene dato per bruciato a causa di un’intervista al quotidiano torinese Gazzetta del popolo(che la Stampa cita e riporta, evidentemente esisteva un fair play tra giornali oggi ormai perduto) che appare improvvida (in realtà che un cardinale tanto naviganto quanto lui rilasci un’intervista a sua insaputa appare quantomeno improbabile). Comunque Siri trancia giudizi taglienti, affermazioni durissime e insolite «in un cardinale aduso al pieno autocontrollo», scrive la Stampa. Negando che Papa Luciani avesse esposto un programma nel primo messaggio in latino dalla Sistina, Siri avrebbe precisato che quel discorso era stato scritto dalla segreteria di Stato: «Lui lo ha pronunciato come poteva pronunciarlo, che so io, Eugenio I».
Ma non basta: «Conosco tutti i cardinali e so tutto di loro, essendo io il decano, poiché la mia nomina risale al 1952. Intendevo spingerli a procurarsi informazioni su chi fare Papa alle fonti autentiche, non alle fontanelle con acqua non potabile». Un linguaggio esplicito che sicuramente non usa tra le porpore cardinalizie, più a loro agio col bisbiglio sommesso. L’intervista deflagra come una bomba nel preconclave e Siri immediatamente la smentisce. Neanche fosse un democristiano qualsiasi, afferma di non aver rilasciato alcuna intervista, ma che il giornalista ha riportato una chiacchierata informale che sarebbe dovuta rimanere privata. Sembra che le dichiarazioni improvvide azzoppino il cardinale, ma in realtà non sarà così, perché si saprà in seguito che nei primi scrutini sfiorerà l’elezione, mancandogli solo 4-5 voti per salire al soglio di Pietro. Le candidature del progressista Benelli e del conservatore Siri finiranno perciò con l’elidersi l’un l’altra.
All’apertura del conclave non c’è accordo alcuno. «L’orientamento generale dei cardinali è di nuovo per un Papa italiano, ma in questo ambito tutte le soluzioni restano aperte», confida un porporato al vaticanista della Stampa. «In realtà fonti altissime», continua il quotidiano, «ritengono che, al di là della candidatura assai importante di Giovanni Benelli e di quella in fase calante di del cardinale Giuseppe Siri di Genova, il “vero candidato” sia rimasto sinora nell’ombra, che è la condizione più propizia a non turbare la sua elezione». E poi fa anche il nome del “vero candidato”, cioè il milanese Giovanni Colombo. Tutti questi presunti papabili, da Colombo a Pappalardo, da Pignedoli a Baggio, tengono la bocca ben chiusa per non bruciarsi, con l’eccezione, già citata, di Siri che invece chiacchiera pure troppo. Parla volentieri chi non ha possibilità alcuna e c’è tutta una corrente di cardinali che vorrebbero il Papa straniero. All’arcivescovo di Madrid – «il Papa non potrà che essere italiano» – fa da contraltare il suo omologo di Praga, «questa volta non sarà italiano», mentre l’arcivescovo di San Paolo del Brasile è sicuro: «È venuto il tempo di pensare a un papa del Terzo mondo». Poi ci sono quelli che vorrebbero un pastore di anime e quelli che preferirebbero un buon amministratore di curia.
Scrive Lamberto Furno, nella Stampa del 15 ottobre: «È indubbio che occorrerà un compromesso perché nessun gruppo da solo dispone dei 75 voti necessari all’elezione (due terzi più uno). Resta la possibilità di un Papa a sorpresa, tanto che torna a circolare il nome di padre Anastasio Ballestrero, che non è cardinale, benché fosse in pectore di Paolo Vi e papa Luciani, ma che ha molti estimatori nel conclave».
A ulteriore conferma che chi entra Papa in conclave ne esce cardinale, le cose non vanno affatto come i vaticanisti prevedono. Comunque all’ottavo scrutinio del secondo giorno è fumata bianca. Il cardinale protodiacono, Pericle Felici, si affaccia per annunciare «Habemus papam». E quando pronuncia il cognome del neoeletto, “voitiua”, sono molti a pensare che sia venuto il turno di un Papa africano. E invece no, tocca al polacco Karol Wojtyła. Il Papa nero sarà soltanto una fantasia dei Pitura Freska, a Sanremo, nel 1997.