A Telecom fa gola il tesoretto fiscale di 3 Italia

I retroscena della trattativa

Due anni dopo, Telecom Italia e 3 provano a convolare a nozze. A ruoli invertiti: se nell’estate 2011 era il magnate cinese Li Ka Shing a vendere, stavolta l’operazione è più complessa. Da un lato il conferimento di 3 Italia all’ex monopolista, dall’altro l’ingresso nel salotto buono di Telco. Al netto delle indiscrezioni diffuse stamani dal Messaggero, secondo cui il gruppo dell’estremo oriente sarebbe pronto a entrare al 29,9% di Telecom – ultima soglia utile senza l’obbligo di lanciare l’Opa – e Bloomberg, che dà gli iberici di Telefonica in uscita, ciò che fa davvero gola sono gli 8,6 miliardi di perdite fiscali di H3G.

Non a caso le valutazioni che circolano per la società guidata da Vincenzo Novari si aggirano tra 2,5 e 2 miliardi, cioè 7-8 volte il margine lordo (264 milioni nel 2012) e pari al 27% delle suddette perdite. Cioè alla deduzione dell’aliquota che la controllata italiana della società cinese avrebbe versato se avesse chiuso l’anno in utile. Una condizione vantaggiosa, qualora l’interpello avesse esito positivo, in quanto il decreto Salva Italia ha tolto il limite a cinque anni per conseguire utili pari alla perdita dedotta in precedenza. Traducendo: se una società perde un miliardo di euro, è possibile iscrivere 270 milioni di beneficio fiscale senza l’onere di raggiungere un miliardo di euro di utili complessivi nei prossimi cinque anni. Oltretutto, in caso di fusione tra società del medesimo settore e con il medesimo oggetto sociale, non ci sarebbero limiti alla trasferibilità delle perdite da una società all’altra. E la valorizzazione degli attivi, dunque, aumenta. 

Oggi è stata un’altra giornata di indiscrezioni e smentite che hanno spinto il titolo vicino ai 60 centesimi a +3,83% mentre il Ftse Mib è salito dell’1,26 per cento. Su richiesta Consob, Telecom ha poi ribadito quanto riferito venerdì sullo stadio preliminare dei contatti con H3G, mentre un portavoce di Telefonica ha spiegato invece che l’investimento nella società di Tlc italiana è di lungo periodo, di natura industriale e non finanziaria. Ufficialmente la porta è chiusa. 

Eppure la tentazione c’è eccome, e la trattativa – a differenza dell’estate 2011 – la conduce Li Ka Shing, assieme allo storico advisor Goldman Sachs. Per entrare al 30% del salotto di Telco, la holding che detiene il 22,45% di Telecom – partecipata da Intesa, Generali, Mediobanca (oggi il cda di Piazzetta Cuccia ha approvato il rifinanziamento del debito e l’adesione pro quota all’aumento Rcs) e Telefonica – “basta” un miliardo di euro a un prezzo di carico di 1,2 euro per azione. Per la cronaca, la liquidità di Hutchinson Whampoa sta a quota 12 miliardi. Oltretutto, per quanto non abbia mai chiuso un bilancio in utile 3 Italia è esposta a livello infragruppo, e non nei confronti degli istituti di credito. Una condizione per la quale Telecom farebbe carte false.

Il percorso dell’eventuale merger è però irto di ostacoli: in primis il via libera dell’Antitrust italiano e comunitario – le quote di mercato delle due compagnie arriverebbero al 45% – oltre alla golden share del governo e alla valorizzazione della rete in rame, la cui cessione alla Cassa depositi e prestiti è congelata dallo stallo politico e dal rinnovo dei vertici di via Goito. Tuttavia, come ha lasciato intendere un report diffuso stamattina da Banca Imi, merchant bank di Intesa (istituto all’11,6% di Telco), l’arrivo del cavaliere bianco con gli occhi a mandorla potrebbe far scattare il liberi tutti alla prima finestra utile, il prossimo settembre. La holding, post aumento di capitale chiuso lo scorso ottobre, ha 2,75 miliardi di debiti rispetto a un patrimonio netto di 2,7 miliardi e un valore netto dell’asset negativo per 950 milioni agli attuali corsi azionari. Dell’esposizione debitoria, circa un miliardo è nei confronti di Mediobanca, Unicredit, Hsbc e SocGen, mentre i restanti 1,7 miliardi rappresentano il prestito soci. Per rimborsare i debiti di Telco, le azioni dellaa compagnia telefonica dovrebbero quotare a un valore implicito di almeno un euro per azione. 

Qualche indicazione in più arriverà dal cda di dopodomani, quando Bernabé illustrerà le linee guida del progetto. Tuttavia, chiunque si affacci alla finestra di Telco, dovrebbe non solo tenere conto dei 28 miliardi di debito di Telecom, ma anche, pro quota, degli 1,7 miliardi di prestito soci, che nel caso di Telefonica – ad esempio – sono altri 800 milioni. Vittime non certo illustri dell’eventuale merger, come accade spesso in Piazza Affari, sono i piccoli azionisti: secondo gli analisti la valutazione corretta di 3 Italia è 5 volte il margine lordo. 

In serata Telco, tramite un comunicato, fa sapere però che la società «non ha avuto alcun contatto, neppure informale, con il gruppo Hutchison Whampoa o con Telecom Italia e che non sono stati ricevuti o scambiati documenti sul tema in oggetto». E sottolineano: «Gli azionisti di Telco non hanno avuto recenti contatti, neppure informali, con il gruppo Hutchison Whampoa o con Telecom Italia, né sono stati scambiati documenti, sul tema in oggetto».

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