Per gli esperti potrebbe essere «il più duro colpo contro il buco nero dell’economia mondiale»: un colossale “leak” degno del celebre Wikileaks sui paradisi fiscali e su chi vi fa ricorso per nascondere enormi somme di danaro: speculatori, signori della guerra, dittatori, multimiliardari. È una gigantesca massa di dati – per la precisione 260 gigabyte, con 2,5 milioni di file e i nomi di oltre 130.000 persone provenienti da 170 paesi che gestiscono, possiedono, o traggono profitti dalle 122.000 società off-shore contenute nel materiale. Come sedi ci sono i più classici paradisi fiscali, dalle Cayman alle Isole Vergini e le Isole Cook, ma anche la Svizzera (con 300 persone fisiche e 70 società coinvolte) e Cipro, il cui salvataggio è storia di questi giorni. Nella documentazione figurano anche colossi bancari come Ubs, Clariden e Deutsche Bank, che risulterebbero aver offerto i propri servizi ai ricchi clienti per aiutarli a creare società off-shore nei vari paradisi fiscali.
Materiale raccolto un anno fa da fonte anonima originariamente da Gerard Ryle, direttore dell’International Consortium for Investigative Journalism (Cij) di Washington. Un materiale analizzato, racconta Ryle, da un mega-team di 86 giornalisti investigativi di 46 paesi, e di prossima pubblicazione da parte grandi giornali internazionali, dal Washington Post alla Süddeutsche Zeitung, al Guardian. Una documentazione eccezionale che rivela l’intricato sistema di società fittizie e di “scatole cinesi” e una fitta rete di prestanome, avvocati e mediatori ben pagati attraverso la quale sono stati nascosti al fisco o alla giustizia miliardi di dollari e di euro. Un gigantesco leak che rischia ora di mettere sotto pressione i numerosi paradisi fiscali elencati, attivando le magistrature di mezzo mondo.
Si dovrà attendere per sapere ulteriori dettagli, ma qualcosa è stato già anticipato. Complessivamente, scrive il Cij, risultano oltre ai super-ricchi, funzionari governativi e le loro famiglie di paesi, oltre come Francia, Canada, Azerbaigian, Filippine, Russia, Pakistan, Tailandia, Mongolia. Tra i nomi più noti figura ad esempio Jean-Jacques Augier, manager della campagna elettorale del presidente francese François Hollande, già in difficoltà per i conti segreti in Svizzera del suo ex ministro del Bilancio Jerôme Cahuzac.
Tra i primi 130 mila correntisti offshore finora noti, compare Olga Shuvalova, moglie del vice premier russo Igor Shuvalov, e due top manager del colosso energetico pubblico, Gazprom. Entrambi avrebbero quote in società registrate alle isole Vergini. Nell’elenco anche «personalità e compagnie legate al caso Magnitsky», l’avvocato russo del Fondo Hermitage Capital morto in carcere nel 2009, dopo aver denunciato un complesso schema di frode fiscale attuato da funzionari ai vertici dell’amministrazione pubblica in Russia.
Dalla documentazione in possesso del Cij, risulta che Augier sia proprietario di due società off-shore situate sulle Isola Cayman. Augier ha smentito però di aver svolto attività illegali, sostenendo che le due società sono utilizzate dalla sua Holding Eurane per affari in Cina. Divertente il caso di un dipinto di Van Gogh (“Il mulino a Gennep”) battuto all’asta di Sotheby’s a Londra per 751.550 dollari a favore di una società chiamata Nautilus Trustee Limited con sede nelle Isole Cook. Alcuni mesi dopo il dipinto è approdato come “prestito” della stessa società presso il Museo Thyssen-Bornemisza a Madrid. Ebbene, il Nautilus Trustee Limited è guarda caso di proprietà della Baronessa Carmen Thyssen-Bornemisza, proprietaria dello stesso museo. Motivo di questo complicato giro? In Spagna esiste una tassa sulle proprietà artistiche, la baronessa avrebbe dovuto pagare al fisco iberico 13,5 milioni di euro l’anno per il dipinto.
Tra i nomi figura anche quella di una figlia dell’ex dittatore filippino Ferdinand Marcos, Imee. Secondo il Cij, la signora – oggi governatrice della provincia Ilocos Norte dell’Arcipelago – risulterebbe beneficiaria di un Trust sulle Isole Vergini britanniche. La magistratura filippina si è già attivata per verificare che il Trust non sia la punta dell’iceberg, e cioè parte del gigantesco patrimonio di miliardi di dollari che l’ex dittatore si portò con sé quando fuggì dalle Filippine.
Potremmo citare ancora le due figlie del presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliev, che dal 2008 sarebbero proprietarie di tre società sulle Isole Vergini. Curioso che direttore di tutte e tre sia un imprenditore che nell’ex repubblica sovietica ha ottenuto appalti miliardari. Il sospetto è che le società off-shore siano un “pagamento” per i favori ottenuti. Tra i nomi ci sono anche altro tipo di personalità, come Tony Merchant, uno dei più noti avvocati canadesi e marito di una senatrice liberale di Ottawa, con un trust sulle Isole Cook; o il defunto industriale tedesco multimiliardario Gunter Sachs.
Particolarmente ghiotta potrebbe essere l’occasione per la Grecia: nei 260 gigabyte si trovano anche 107 società off-shore in mano ellenica, di cui solo 4 note al fisco di Atene. Il materiale potrebbe essere una svolta nel fronteggiare un fenomeno ormai gigantesco: secondo l’ong Tax Justice Network, nei paradisi fiscali sono parcheggiati tra i 21.000 e i 32.000 miliardi di dollari, con una perdita in gettito fiscale a livello mondiale fino a 280 miliardi di dollari. La Commissione europea ha già annunciato «conseguenze» per i paradisi fiscali che «accettano o nascondono» i proventi dell’evasione fiscale.