«Con meno di questo è impossibile che l’Italia possa riprendere il suo cammino». Riparte dal «governo del cambiamento» il segretario del Pd Pier Luigi Bersani. Ma lo fa da una location suggestiva: un quartiere distante anni luce dai palazzi romani, forse «per fare qualcosa di sinistra», come avrebbe detto Nanni Moretti. D’altronde, i dubbi sono pochi: «una manifestazione contro la povertà, dove avremmo dovuto farla?», si domandano dall’inner circle del leader di Largo del Nazareno, sede del partito.
E allora si va al Corviale, la cosiddetta “Scampia di Roma”, a pochi metri dal “Serpentone” (copyright romano): lì, dove sono ammassate migliaia di famiglie che vivono nelle case popolari, il Pd organizza un’iniziativa dal sapore differente. «Una manifestazione contro la povertà per un governo di cambiamento», recitano i manifesti. Un’iniziativa in un ex centro sociale, “il Mitreo”, «che è stato riaperto grazie ad una delle riforme di Pier Luigi Bersani», spiega la fedelissima direttore di Youdem Chiara Geloni.
In realtà l’idea proviene anche da alcuni segretari di quartiere che, di concerto con il partito centrale, da settimane spingevano per un’azione popolare. «Certo, se Bersani avesse ricevuto l’incarico pieno da Napolitano non ci sarebbe stata alcuna manifestazione contro la povertà», confida un militante del Pd. «Lo vogliono far fuori al nostro segretario. Ma deve essere lui il leader del centrosinistra». E non risparmiano critiche a Napolitano: «Ma io dico: vuoi uscire pulito dar settennato? Ma allora non mettere i saggi…». Il signor Paolo è un vecchio militante del Pci, si definisce «incazzato ma bersaniano», e oggi è un elettore dei democratici: «Può darsi che Bersani ce la faccia a fare un governo. Ma spero che non sia un governo con Berlusconi. Quello è il più grande farabutto della storia italiana». Volano gli insulti.
Alle 10:30, orario di inizio della kermesse, nei 900 metri quadrati del Mitreo non c’è più un posto libero a sedere. «Non avevamo previsto tanta gente», dicono con soddisfazione i bersaniani. Anche se, scrutando tra la folla, si nota che ci sono pochissimi giovani. La maggioranza della platea è over 50. Ed è gente eterogenea, viene da tutti i quartiere della Capitale e non soltanto dal Corviale. «Anzi, a me sembra di essere ad un aperitivo da Settembrini. Altro che poveretti, qui so tutti radical chic», dice una signora.
Fra i partecipanti c’è un certo Paolo, un movimentista del ’68, «movimentista vero, non come quelli di Beppe Grillo». Erano diversi, loro: «Noi stavamo fuori dal Parlamento, eravamo extraparlamentari. Eravamo più estremisti. Ma oggi sostengo la linea del segretario, perché partiamo da un risultato che ci dà vincitori fra i perdenti. E le posso dire che dobbiamo essere noi a fare il governo. Ma con una condizione: senza Berlusconi. Quello è un diavolo».
Il cliché dei partecipanti alla kermesse è sempre lo stesso: si trovano ex comunisti o ex diessini, filobersaniani, e, sopratutto, antiberlusconiani. Infatti non è un caso se all’interno della sala non si incontra alcun esponente del Pd di estrazione democristiana. Non c’è Dario Franceschini, reo di aver rilasciato un’intervista «un po’ troppo dialogante nei confronti del Cavaliere», ma non c’è nemmeno Enrico Letta, numero due di Largo del Nazareno, e con ottime entrature all’interno del centrodestra. Per non parlare di Beppe Fioroni, leader degli ex popolari, e in queste ore il più insofferente per la deriva “sinistra” del Pd.
Fra i big si scorgono soltanto i fedelissimi del segretario: Stefano Fassina, Nico Stumpo e Stefano Di Traglia. Ed è assente persino Massimo D’Alema, (ex) big sponsor di Bersani, il quale, dicono, ha voluto rimarcare la distanza dall’iniziativa, preferendo di inviare uno dei suoi: Gianni Cuperlo. Il neo capogruppo alla Camera Roberto Speranza, vestito casual, si nasconde tra la folla. «Ah, ma è lui il capogruppo? Si chiama Speranza? Ma è tristissimo, altro che speranza», scherza un signore occhialuto, ben vestito, e con l’accento del sud.
E gli assenti ingiustificati? Solo uno: Matteo Orfini. Il leader dei “giovani turchi” non condivide da giorni la linea del segretario, e starebbe trattando con il sindaco di Firenze per il post-Bersani. Fra le vecchie glorie, non più presenti in Parlamento, si annovera la presenza dell’ex ministro Livia Turco, salutata dalla folla e ricordata da Pier Luigi Bersani nell’intervento. E poi partecipano anche in qualità di relatori il vincitore delle primarie di Roma Ignazio Marino e il presidente della Regione Nicola Zingaretti, criticato per la discarica di Valle Galeria. «Una protesta fuori luogo – rincara Zingaretti – Andate ad interrompere le manifestazione di Alemanno che in questi anni ha preso per il culo la Valle Galeria fino ad adesso. Noi ci siamo sempre opposti alla realizzazione di qualsiasi discarica e se si vuole risolvere il problema dobbiamo cambiare il sindaco di Roma». Chiusa parentesi.
Dicevamo degli assenti, e della platea filobersaniana. «È normale che manchino i traditori: qui ci sono soltanto i bersaniani duri e puri», tiene a precisare Otello, un signorotto sulla sessantina con L’Unità sottobraccio. Perché in fondo «noi vogliamo un partito di sinistra, un partito che si occupi dei lavoratori, dei quartieri popolari. E Bersani è uno dei nostri, è l’unico che può dare una spinta in questa direzione al Pd. Altrimenti con Renzi finiremo con scimmiottare la destra di Silvio Berlusconi». E Fabrizio Barca? «Ricordo il padre. Il figlio l’ho in tv dalla Gruber. Sembra bravo. Ma in tv so’ tutti bravi…».
Il segretario del Pd riconosce la platea che ha davanti agli occhi. E nonostante qualcuno provi ad alzare i toni, «mai con il diavolo», «cosa avete fatto in questi anni?», «dove siete stati?», “Pier Luigi” è pur sempre uno di loro. Infatti quando Bersani osserva che in queste settimane più di uno all’interno del Pd gli avrebbe detto, “ ci vuole dignità”, lui risponde così: «Io una cosa del genere non l’avrei accettata neanche da mio padre, ma sono rimasto zitto per il bene del Pd». Si leva immediatamente un applauso scrosciante. E il segretario mostra soddisfazione osservando il suo popolo. Perché «Pier Luigi è una brava persona: lo stanno massacrando questi democristiani, e quel giovanotto di Firenze», mormorano in tanti. E poi «si vuol descrivere l’attuale linea del Pd come risultato di una testardaggine personale, anche in questo caso non sempre fuori dal nostro mondo».
In realtà Bersani sembra (ancora) convinto che l’idea del governo del cambiamento «sia l’unica soluzione coerente». Ma prima ci sarà il match del Presidente della Repubblica. Un match «che rappresenta l’unità della Nazione», e quindi dovrà essere eletto con la più larga condivisione. Un match che dovrà essere separato dalla successiva partita di Palazzo Chigi. Non ci sono altre soluzioni. «Fatto il Presidente della Repubblica, un governo ci vuole. Se siamo qui, però, in questo passaggio, è perché il Pd ha delle idee precise e chiare per rispondere al Paese». E invece che idee precise e chiare ha per rispondere alle altre anime del Pd? Chissà.
@GiuseppeFalci