Breve vita di Kim Jong un, il fantoccio atomico

Il mondo (Cina inclusa) non sa niente

Quante volte ognuno di noi si è colto in un atteggiamento, una postura, o si è sentito uscire dalla bocca un’espressione, un modo di dire, che ha ricordato i propri antenati più vicini? I nonni, per chi li ha conosciuti, il padre, la madre. Tracce di riconoscimento genetico, affidati a piccoli gesti, particolari minuti, nascosti nelle pieghe di atteggiamenti quotidiani che contraddistinguono la propria individualità. Per le persone normali si tratta di conferme, talvolta coincidenze. Per chi ci circonda sono ricordi, capsule di memoria condivisa.

Per Kim Jong un, invece, sono tracce di mitologia, di religiosa grandezza, di poteri sovrumani. E il giovane nuovo dittatore coreano deve ricorrere nel presente, a tracce del passato, perché la sua sfortuna, nella buona sorte, non gli ha regalato abbastanza anni per creare il proprio fascino stalinista confuciano, in questo miscuglio di credenze, religione ideologica e spettro del passato che è la Corea del Nord.

Al museo della guerra di Corea di Dandong, confine tra Cina e Nord Corea, proprio all’ingresso c’è una foto di un giovane Kim Il Sung, l’Eterno Presidente. Lui, genio, ideatore capace di creare la dinastia comunista coreana, ha passato l’eredità al figlio. E quest’ultimo sulle ombre del padre, ha saputo creare egli stesso un mito. Secondo molti accademici sarebbe nato in Unione Sovietica. Eppure nei suoi anni di regno ha avuto modo di convincere i suoi connazionali di essere invece nato ai piedi del monte Baitou, al confine con la Cina, montagna sacra in Corea. Alla sua nascita una stella sarebbe apparsa in cielo. Cosa vi ricorda?

Oltre ad aver vissuto la guerra di Corea, aver combattuto davvero quei “maledetti imperialisti” di cui riempie i proclami e i comunicati stampa il nipote, Kim Il Sung ha avuto modo di contribuire alla propria santificazione e dare modo al figlio, il Caro Leader Kim Jong-il di preparare al meglio la propria successione. Tempo e opzioni che Kim Jong un, trentatre, forse trentaquattro anni, non ha avuto.

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Ma tornando alle somiglianze tra parenti e alla foto del museo della guerra di Corea, si evince subito un dato chiaro: Kim Jong un è quasi identico al nonno. Secondo alcuni cinesi che incontriamo a Dandong, mentre chiediamo in giro cosa ne pensino del nuovo leader, è proprio quella la ragione alla quale il giovane Kim deve l’investitura del padre. È identico al nonno e quindi deve essere portatore di qualche elemento “divino”, al contrario del fratello, perso tra i casino a Macao e capace di farsi beccare con un passaporto falso mentre provava ad andare a visitare Disneyland.

E c’è chi dice che nella somiglianza tra Kim Jong un e Kim il Sung, ci sarebbero di mezzo anche plastiche facciali per aumentare i tratti comuni semi divini. E c’è chi aggiunge che proprio questa somiglianza al nonno, ma quando era giovane, spiegherebbe la sua stramba impopolarità in patria.

Già perché secondo i cinesi che tra l’ufficiale e il contrabbando gestiscono affari tra Cina e Nord Corea, Kim non sarebbe granché conosciuto in patria, anzi qualcuno chiede proprio ai cinesi cosa ne sanno di lui. Assomiglierà al nonno da giovane, ma tra la guerra e e morti per fame chi si ricorda più dell’Eterno Presidente e della sua faccia da giovane? Anche perché, ovunque in Corea del Nord, le foto di Kim il Sung lo ritraggono maturo, saggio, come vuole il rigore confuciano, non certo come un pischello un po’ arrogante, che si atteggia – quando batte le mani e quando cammina – a qualcuno che la guerra l’ha fatta davvero. E non è un caso che quando venne presentato come il Grande Erede, nel 2010, quando apparve alla parata militare accanto al padre, i suoi ritratti pare non abbiano avuto grande successo in patria (così come si dice che per Il Giovane Generale sia stata creata una canzone-preghiera ad hoc).

E Kim avrebbe un altro punto debole: durante la terribile carestia, l’arduo Marzo, negli anni Novanta lui era a studiare in Svizzera e riempirsi la pancia, oggi piuttosto pronunciata, di prelibatezze europee, salvo tornare e chiudere la sua carriera in patria nel 2000, all’Accademia militare (ha anche conseguito una laurea in fisica all’università di Pyongyang che come tante altre strutture, istituzioni, stadi, uffici, porta il nome del nonno).

E proprio l’arduo Marzo è una metafora coreana che arriva proprio da un racconto mitologico sul nonno di Kim, ad indicare però quattro anni reali, verissimi, di fame, stenti, terribili privazioni che hanno provocato milioni di morti. E non fosse per la Cina, chissà che ne sarebbe di quello che rimaneva del paese. Ma ancora, a questo punto, cosa si potrebbe chiedere un coreano? Dov’era Kim, il nostro leader? Era ad appendere poster di star della NBA nella sua stanza in un college in Svizzera, si risponderebbe in gran segreto.

E ora Kim Jong un alla ricerca del proprio mito, ne sono convinti più di tutti i cinesi, sfida il mondo intero. Cosa sappiamo di lui, della sua personalità, del suo modo di ragionare? Niente, è la verità. Quanto trapela, lo abbiamo grazie a report dell’intelligence americana che oltre a indugiare sulla sua passione per il basket e per la musica rock durante la permanenza svizzera, contribuiscono ad un’agiografia al contrario. Sarebbe sadico, si dice, perché fin da piccolo torturava gli animali. E questo basterebbe a renderlo una minaccia mondiale. O forse è più importante la sua personalità tratteggiata come schizoide?

La verità è che di Kim Jong un sappiamo poco e ancora meno si sa di quanto venga deciso nelle segrete riunioni di quei pochi che contano in quel paese misterioso che è la Corea del Nord. I cinesi ad esempio, i servizi segreti, dicono chiaramente che loro informazioni non ne hanno da tempo. Ed ecco che Kim oltre a confermare le sue doti di leadership con questa recente escalation – e per certi versi gli va dato atto di consegnare alla storia ogni giorno un nuovo gesto a sorpresa che aumenta la tensione ma non sposta di una virgola la contesa – pare possa volersi collegare – ed ecco ancora il link genetico- divino – al nonno, saltando il padre, troppo succube, forse, della Cina.

Il giovane Kim infatti, tra il serio e il chissà cosa, sta facendo innervosire proprio chi aveva garantito alla sua famiglia questa grottesca dominazione. La Cina in prima battuta aveva approvato il suo status di erede. Ma anche i cinesi sono stati colti, clamorosamente impreparati, dalla morte di Kim Jong il che ha lasciato il ragazzo in balia di generali, vecchie volpe di Partito, la forza e la durezza del mito e forse, i suoi incubi di trentatreenne, forse trentaquattrenne. Di solito però questi incubi, rimangono nella cerchia di casa, nella comodità famigliare o nel giro più allargato degli amici. Sapremo poco, ma Kim Kong un sembra sempre più solo, anche in casa sua.
 

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