Chi era Teodoro Buontempo, leader di una destra che fu

Dagli anni difficili dell’arrivo a Roma all’uscita da An e la presidenza de La Destra

Teodoro Buontempo è morto stamattina alle 4.30 in una clinica romana. Se ne va uno dei personaggi più raccontati e conosciuti della destra italiana. Uno dei leader storici del Movimento Sociale. Guida indiscussa della gioventù nera della Capitale negli anni Settanta. Per tutti, da sempre, “er pecora”.

Un soprannome che lo precedeva. Retaggio, mai troppo apprezzato, di quei primi periodi a Roma. Giunto nella Città Eterna dall’Abruzzo alla fine degli anni Sessanta, il giovane Buontempo non poteva permettersi sistemazioni di lusso. E così dormiva in macchina. «Bevevo, mi lavavo e mi facevo la barba alla fontanella – raccontò quasi trent’anni dopo in un’intervista al Corriere della Sera – Ero ospite fisso alla Casa del Passeggero, vicino alla stazione Termini. La mattina mi presentavo lì, facevo la doccia, davo la roba sporca da lavare alla signora Elena e andavo a far politica. Sempre elegantissimo». Di quell’appartamento improvvisato il giornalista Gian Antonio Stella raccontò l’impietosa fine. «La “casa” dell’onorevole Teodoro Buontempo, stroncata da una molotov, cadde sul campo durante uno scontro di piazza coi “rossi” una mattina di primavera del 1972 e fu sepolta, con gli onori dei camerati, presso uno sfasciacarrozze sul raccordo anulare».

Gli anni Settanta da leader dei giovani missini della Capitale. E quel rimpianto per la grande contestazione giovanile del ’68. In Italia gli scontri a Valle Giulia rappresentano il simbolo di quella rivoluzione. Buontempo, presente quel giorno, criticò per anni le scelte dei vertici del Msi. Quella rivoluzione apparteneva di diritto anche ai “neri”. «Quella del ’68 era una rivolta generazionale – raccontò pochi anni fa nel bel libro La fiamma e la Celtica di Nicola Rao – “una rivolta contro il mondo moderno”, per dirla con Evola, che aveva tutte le caratteristiche per essere “nostra”. Ma ancora una volta, soprattutto per volontà esterna, ci fu scippata e fu regalata alla sinistra che poi la strumentalizzò e la cavalcò ad arte. Fu una grande occasione perduta, forse la più grande della nostra storia». Pensiero confermato anche nel libro cult Fascisti immaginari. «Ricordo Valle Giulia. Destra e sinistra quel giorno erano insieme. La rivolta generazionale si sposava benissimo con le nostre idee».

Militante sui generis, forse. Gli autori di Fascisti immaginari ricordavano le aperture al mondo gay. «Persino il sanguigno Teodoro Buontempo, incarnazione del postfascismo più popolare e tribunizio, non ha avuto nessun problema a dichiarare: “Credo che le istituzioni debbano tutelare tutti. Abbiamo il compito di tutelare qualsiasi persona, dunque anche gli omosessuali». Storico consigliere comunale a Roma dal 1981 al 1997. Deputato del Msi e di Alleanza Nazionale, presidente de La Destra di Francesco Storace. Nel recente governo Polverini alla Regione Lazio è stato l’assessore alla Casa. Grande parlantina, c’è ancora chi ricorda le lunghissime maratone oratorie nella sala Giulio Cesare del Campidoglio.

Fu il leader del Fronte della Gioventù durante gli anni di piombo. Punto di riferimento delle nuove leve missine, nei primi anni Settanta Buontempo raccoglie nella sede di via Sommacampagna l’attivismo politico giovanile della Capitale. Si forma qui la classe dirigente che poi confluirà in Alleanza Nazionale. Gianni Alemanno, Gianfranco Fini, Maurizio Gasparri. Le riviste, la scommessa di Radio Alternativa, il quarto campo hobbit. Sono gli anni di Lotta Popolare, l’iniziativa politica che porta il Msi ad avvicinarsi al mondo delle borgate. Le battaglie a difesa dei ceti più deboli, per il lavoro, per l’occupazione degli appartamenti sfitti. «Creammo delle sezioni periferiche per penetrare il mondo delle borgate – ricorda Buontempo al giornalista Rao – Portando avanti temi che la sinistra sbandierava, ma non realizzava mai».

L’inconfondibile voce roca e quell’estrema disponibilità, fosse anche per un’intervista (di solito interminabile). Nel 1995 il difficile passaggio in Alleanza Nazionale. Quella svolta voluta da Gianfranco Fini, mai digerita fino in fondo. Lui che del saluto romano non si è mai vergognato. Negli anni più recenti la fuoriuscita assieme a Francesco Storace, per dar vita a La Destra. Di cui è stato presidente fino all’ultimo.  

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