Da Renzi nessun veto al “nemico” da rottamare D’Alema

Il Quirinale e le convulsioni del Pd

«Mi sembra che al segretario sia arrivato un chiaro segnale». Non lo nominano, lo chiamano il “segretario”, un modo come un altro per evidenziare il distacco da Pier Luigi Bersani. Ma sotto sotto le truppe renziane sorridono, e rilanciano: «Prodi potrebbe essere la ciambella di salvataggio, ma su D’Alema non ci metteremmo di traverso». Sì, il lìder maximo, il primo presidente del Consiglio di estrazione comunista, viene considerato in ambiente renziani «il male minore», forse ancora «l’unica carta vincente» per ristabilire l’ordine all’interno della «ditta». Del resto, ragionano in Transatlantico, «D’Alema non ha chiesto alcuna deroga, a differenza di Marini, e si è messo da parte non facendo pressioni per una candidatura in Parlamento».

Tramontata l’ipotesi dell’ex Presidente del Senato i giochi riaprono e Pier Luigi Bersani cerca di far ripartire la macchina dentro un Pdin preda ad una crisi di nervi, spaccato e lacerato. Riflette in queste ore il segretario, consapevole che «trovare una sintesi in questo marasma di anime» sia un’impresa difficile ma non impossibile. «Vedrete che si troverà una soluzione. Marini? Riuniremo l’assemblea dei grandi elettori e vedrete che una soluzione si troverà». Una soluzione «soft» che tenga insieme il partito e allontani lo spettro dell’implosione. «Bisogna prendere atto di una fase nuova e avanzare una proposta a tutto il Parlamento». Non perdendo di vista che ancora è possibile trovare una soluzione con il centrodestra «per dare un segnale al Paese». E allora l’unico nome della lista che potrebbe riuscire nell’impresa di rimediare «al fattaccio di stamattina» sarebbe proprio Massimo D’Alema. Ecco perché bersaniani, franceschiani e giovani turchi avrebbero virato in questa direzione, ritenendola a taccuini chiusi «un’ipotesi abbastanza forte».

E non è un caso che proprio ieri sera dai microfoni del TgLa7 uno come Matteo Orfini, leader della corrente dei “turchi”, e prodotto della scuola dalemiana, abbia detto: «Entro domani mattina bisogna pensare a una soluzione nuova, è necessario riflettere e cercare un nome che riunisca il Pd e il centrosinistra e poi cerchi convergenze più ampie». E la soluzione della scheda bianca per la seconda votazione e anche per la terza di stamattina va proprio in questa direzione: «È di buon senso – aggiunge Orfini – perché serve a prendere tempo, a sederci, a discutere e a trovare quella soluzione che Marini non aveva».

Adesso è arrivato «il tempo della riflessione», sussurrano a Montecitorio, bisogna smussare gli angoli che si sono enfatizzati nell’assemblea del Capranica. E Bersani, onde evitare «la figuraccia che ha fatto con Marini», sonderà le varie anime. Ieri alla conclusione della prima votazione ha parlato per più di un’ora fitto fitto con Enrico Letta, Dario Franceschini ed Andrea Orlando, che rappresentano tre anime importanti di Largo del Nazareno. E si sarebbe ragionato proprio sul nome di Massimo D’Alema. Raccontano fonti parlamentari, che il piano bersaniano prevederebbe: «D’Alema al Colle, un nome autorevole a Palazzo Chigi come Enrico Letta, ed una squadra di ministri selezionata anche con Silvio Berlusconi». Del resto da Udine il Cavaliere, che è stato fortemente fischiato, ha ricominciato ad alzato il tiro: «O governo forte, o voto a giugno». Un messaggio subdolo che nasconderebbe la paura di trovare al Quirinale Romano Prodi.

Ma prima di preoccuparsi del Cavaliere di Arcore, Bersani dovrà chetare gli animi dei renziani. Il sindaco di Firenze ha preso il primo treno per Roma «per scegliere il nome condiviso del Presidente della Repubblica». «Vediamo domani cosa (oggi per chi legge, ndr) dirà Bersani all’assemblea. C’è da scegliere un presidente, quindi domani con calma vediamo», sono state le prime parole di Renzi alla stazione di Termini. Poi l’ex rottamatore ha dato appuntamento ai 51 parlamentari in una sala riservata di Eataly, tempio della gastronomia a Roma. Ai parlamentari di rito renziano sarebbe stato servito un antipasto con salumi italiani, un risotto alla zafferano, un coniglio, «accompagnato con un vino Malvasia del Friuli». «Non c’è nulla da festeggiare ma un brindisi lo facciamo ugualmente», avrebbe esordito il sindaco di Firenze all’inizio della cena. Durante la cena sarebbero partite battute pesanti all’indirizzo del segretario: «Il cavallo ferito va abbattuto per non farlo soffrire». Frasi che sono state immediatamente smentite: «Le frasi su Bersani “cavallo da abbattere”? Non è il mio modo di parlare. Sono termini lontanissimi da me, non si fa politica così». In realtà durante la cena si sarebbe discusso della strategia da portare in Assemblea, nella quale di certo, come assicurano a Linkiesta, Bersani porterà tre nomi come quelli di Massimo D’Alema, Romano Prodi, Giuliano Amato, più un altro che vuole tenere «coperto». «La candidatura di D’Alema non esiste», sarebbe stata la reazione dell’ex rottamatore. Ma, assicurano alcuni parlamentari, che Renzi stia bluffando sull’ex Ministro degli Esteri: «Non lo vuol bruciare. E non ha mai più parlato male di lui». Un segnale? Forse.

D’altronde, confida un deputato presente alla cena di rito democristiano, «se in assemblea dovessero arrivare questi nomi per il bene del Paese potremmo anche dire sì a Massimo D’Alema. Ma ad una condizione: il governo che nascerà dovrà durare al massimo sei mesi». Dalla cena sarebbe anche emerso che “Matteo” in mattinata in una location ancora incognita dovrebbe incontrare Pier Luigi Bersani. In sostanza poco prima dell’inizio dell’assemblea dei grandi elettori si terrà il faccia a faccia fra gli eterni rivali delle primarie. Cosa si diranno? Non è dato sapere. Di certo in quella sede si tenterà una sintesi perché «vince l’Italia domani se ci sarà un presidente della Repubblica in grado di dare unita’ al Paese il bene del Paese e sopratutto del partito». Altrimenti, come rivelano alcuni renziani a tarda notte, «faremmo saltare il tavolo in assemblea e punteremmo le nostre carte su Romani Prodi o su Sergio Chiamparino». A quel punto l’obiettivo del sindaco di Firenze sarebbe quello di tornare presto alle urne, e di far conoscere al popolo della sinistra l’ex sindaco di Torino. In questo modo lui, Matteo, correrà per Palazzo Chigi, mentre “Chiampa”, così lo chiama Renzi, proverà a scalare il congresso dei democratici…

@GiuseppeFalci
 

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