Si sente tradito, affranto, isolato. Una delusione dietro l’altra continua a logorare il segretario del Pd, ultimo erede della tradizione comunista. Pier Luigi Bersani trascorre il sabato nella sua Piacenza con moglie e figlie. Ormai all’interno della «ditta», «la mia creatura», c’è una ferita aperta tra il cerchio magico bersaniano, fedelissimo a “Pier Luigi”, e il resto della truppa democratica. Una ferita aperta che danneggia il partito di Largo del Nazareno, e addirittura potrebbe farlo implodere. Una ferita che non è stata causata soltanto dalle apparizioni televisive e dalle interviste rilasciate dall’avversario delle primarie dello scorso 25 novembre, quel “Matteo Renzi” «già in campagna elettorale in vista delle prossime politiche». No, sbottano alcuni fedelissimi, «la ferita è stata causata dagli alleati del segretario all’interno del Pd sui quali Pier Luigi avrebbe messo la mano sul fuoco». I «traditori», rincarano dallo staff.
E l’intervista rilasciata da Dario Franceschini al Corriere della Sera spiega perché il segretario si senta tradito. «Ci piaccia o no, il capo della destra è ancora Berlusconi. È con lui che bisogna dialogare», ha detto l’ex capogruppo alla Camera dei democratici. Parole che cozzano, al netto delle dichiarazioni ufficiali, con i ragionamenti e con la linea politica sposata da Bersani, che in queste settimane ha sempre posto una condizione: «Mai con questa destra, mai con Silvio Berlusconi». A ciò si aggiungono le parole di Rosi Bindi, che al Secolo XIX avrebbe riferito: «Il segretario non sa più che fare e il partito è fermo senza prospettiva». E non importa se poi la presidente del Pd ha smentito “senza se e senza ma” l’intervista rilasciata al giornale ligure. Ormai il messaggio era arrivato nelle segrete stanze piacentine del segretario, e il senso di solitudine continuava a crescere. Un senso di solitudine che porta il segretario a giocarsi, comunque, le ultime due carte. «O la va, o la spacca», avrebbe avvertito i suoi. Il segretario ha in mente uno stratagemma: eleggere un Presidente della Repubblica «di parte», un volto che piaccia anche al M5s, e che possa garantirgli un incarico pieno per poi giocarsi tutto in Aula. Suggestivo. E azzardato.
Anche perchè i segnali che gli arrivano da altri pezzi da novanta del partitonon promettono nulla di buono. Chi fino a pochi giorni fa gli era stato vicino e solidale, stiamo parlando di Massimo D’Alema, pare si sia stufato dell’ostinazione del segretario. «Quello è matto, ci sta portando alla rovina. Ci ha infilato in un disastro perfetto», avrebbe riferito al telefono qualche giorno fa l’ex Presidente del Consiglio. E Massimo D’Alema non si può certo ritenere “un renziano”, «né tanto meno un “democristiano filogovernativo», lascia filtrare un democratico. Basta leggere le ultime dichiarazioni rilasciate ai giornali dal fido dalemiano Nicola Latorre, aperturiste sul sindaco di Firenze, per capire come l’aria stia cambiando velocemente.
Se poi aggiungiamo che uno come Matteo Orfini, “giovane turco” figlio della scuola dalemiana, e big sponsor di “Pier Luigi”, oggi pronuncia parole del tipo: «Diamoci tutti una calmata». E altri “giovani turchi” a microfoni spenti si lasciano addirittura scappare: «Tornare al voto con Bersani candidato sarebbe un suicidio». Il piatto freddo è servito. Completato ieri sera dal rompete le righe di un’altra insospettabile, la bersaniana di ferro Francesca Puglisi: «Il drammatico errore non è pensare ad un dialogo con il Pdl – spiega – ma rifiutarsi di farlo perché si preferisce pensare al controllo del partito invece che alla soluzione dei drammi di migliaia di famiglie italiane». Semplice.
Insomma il dado è ormai tratto. «Il segretario ha le ore contate», sussurra un lettiano. Ecco perché “Pier Luigi” continua a tergiversare sulla direzione nazionale. «Convocarla, o non convocarla?», è il dilemma del segretario. Perché questa volta anche se ci fosse la diretta streaming l’imboscata sarebbe dietro l’angolo, e «Bersani potrebbe andare in minoranza in mondo visione», scherza ma non troppo un veltroniano. Tuttavia non è da escludere che il segretario convochi ugualmente la direzione per il prossimo weekend, venerdì o sabato, e in quell’occasione potrebbe anche sfilarsi, e lasciare la segreteria ad un “traghettatore”. D’altronde l’ultima proposta del Cavaliere di Arcore, una piattaforma politica di «otto proposte per il Paese», dal taglio dell’Imu all’abolizione del finanziamento pubblico, sembra appetibile. Franceschini ieri sera lo ha di fatto ammesso. Ma Bersani non potrà mai accettare, «per coerenza e per dignità» una proposta di Berlusconi. Semmai lo faranno altri…
@GiuseppeFalci