Aveva ragione Valerio Onida. L’ex presidente della Corte costituzionale aveva visto giusto quando, vittima di uno scherzo telefonico del programma La Zanzara di Radio24, aveva definito «inutile» il lavoro dei saggi scelti dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per risolvere lo stallo politico italiano. Le proposte portate dai saggi non sono la risposta che gli investitori internazionali auspicavano. C’era una tiepida fiducia in una possibile soluzione. Invece, tutto è rimasto incerto come prima, più di prima. E anche il presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem, non nasconde le sue preoccupazioni: «Spero che l’Italia abbia un governo il prima possibile».
La reazione dei mercati finanziari potrebbe non essere delle migliori. L’attesa per la formazione di un nuovo governo sta diventando spasmodica e gli investitori hanno già perso la pazienza. I dieci saggi hanno fatto quello che hanno potuto. Il team per l’agenda politico-istituzionale, composto da Mario Mauro, Valerio Onida, Gaetano Quagliariello e Luciano Violante, non ha fatto altro che ricordare quanto sia urgente procedere con una radicale riforma dell’assetto italiano, a partire da un nuovo ruolo per la magistratura. Allo stesso modo, la squadra economico-sociale di Filippo Bubbico, Giancarlo Giorgetti, Enrico Giovannini, Enzo Moavero Milanesi, Giovanni Pitruzzella e Salvatore Rossi ha rimarcato l’esigenza di continuare con il lavoro portato avanti dal governo tecnico di Mario Monti. In altre parole, tutte misure in grado di proteggere il Paese dalla crisi dell’eurozona in modo autonomo e senza l’aiuto diretto di Bruxelles.
La fiducia riposta nel lavoro delle due commissioni di saggi era forse l’ultimo appiglio per gli investitori. Se è vero che le ultime aste di titoli di Stato sono state positive, è altrettanto vero che il merito non è stato dell’Italia. Da un lato ci sono state la nuova direzione di politica monetaria introdotta dalla Bank of Japan. Con la definizione del nuovo limite massimo del tasso d’inflazione, raddoppiato al 2%, l’euforia ha invaso le piazze finanziarie. L’altro versante è caratterizzato dalla presenza della Banca centrale europea (Bce). In questo caso bisogna ringraziare l’effetto benefico, per ora solo basato sulle aspettative, delle Outright monetary transaction (Omt), le operazioni di mercato aperto con cui la Bce può comprare bond governativi dei Paesi dell’eurozona in difficoltà.
Il maggiore timore è quello di uno slittamento degli obiettivi di bilancio. In altre parole, i mercati finanziari iniziano a temere che l’Italia non sia in grado di mantenere la parola data in materia fiscale. Colpa anche di uno degli ultimi provvedimenti del governo Monti, ovvero il pagamento di parte del debito che la Pubblica amministrazione ha nei confronti delle imprese italiane. I circa 40 miliardi di euro che saranno irrorati nelle casse delle società italiane saranno ricavati soprattutto grazie a nuove emissioni di debito pubblico, come ha spiegato ieri Maria Cannata, direttore generale del Debito pubblico del Tesoro. Tuttavia il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera ha spiegato che la cifra potrebbe salire fino a 60 miliardi di euro. Che sia un innalzamento del deficit o del debito pubblico, poco importa.
Tre sono le possibilità per l’Italia. E sono sempre quelle emerse già dal 26 febbraio, il giorno dopo le elezioni politiche. Un governo di larghe intese, che sia a trazione mista Partito democratico e Popolo della libertà o Partito democratico e Movimento 5 stelle o un mix comprendente anche Scelta civica di Mario Monti. Un governo di minoranza, seppur con il supporto diretto del Quirinale. Oppure il ritorno alle urne il prima possibile, cioè presumibilmente dopo l’elezione del nuovo presidente della Repubblica.
«Il lavoro del gruppo dei saggi poteva essere utile, ma così non è stato» dice HSBC in una nota. Tuttavia c’è ancora un barlume di fiducia che sia il prossimo presidente della Repubblica a essere il deus ex machina capace di trovare una soluzione per il Paese. È questa anche l’opinione di Barclays, che però continua a ritenere valido un ritorno al voto nel terzo trimestre dell’anno. Una soluzione, quest’ultima, che verrebbe dopo un governo temporaneo, utile solo a traghettare l’Italia fino a settembre o ottobre. L’emergenza non è ancora finita.