Da quando è stato rinnovato l’ultima volta il patto di sindacato di Rcs, la società editrice del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport ha chiuso in negativo tre bilanci su cinque. Più precisamente, nel 2007 gli utili si sono assestati a 220 milioni, nel 2008 sono scesi a 38,3, nel 2009 il rosso è stato pari a 129,7 milioni. Nel 2010 ritorna l’utile, a quota 7,2 milioni, ma nel 2011 la perdita sale a 320 milioni, per arrivare a 380 milioni nei primi nove mesi dell’anno scorso.
Da quattro anni Rcs non distribuisce dividendi e dal 2008 i debiti rimangono vicini al miliardo di euro. Come se non bastasse, i condomini dello strano stabile in cui convivono assieme istituti di credito, compagnie assicurative e case automobilistiche dovranno mettere mano al portafoglio per 400 milioni entro luglio e per altri 200 nel 2015, evitando così di portare i libri in tribunale.
La prossima settimana sarà al cardiopalma: lunedì il meeting degli azionisti sindacati, che controllano il 58% della società, martedì il board di Mediobanca sul dossier e domenica il consiglio di amministrazione che dovrà dare il via libera all’operazione straordinaria. Se Fiat, Intesa e Mediobanca sembrano pronte a fare la loro parte, Unicredit – l’amministratore delegato Federico Ghizzoni aveva espresso nelle scorse settimane qualche perplessità soprattutto sul piano di dismissioni immobiliari – per il momento rimane alla finestra.
A guardare i numeri, l’investimento nel quotidiano di via Solferino è a dir poco fallimentare. La fine dell’età dell’oro per il Corriere è universalmente riconosciuta nell’acquisizione per ben 1,1 miliardi di euro di Recoletos, editore de El Mundo, tra gli altri. Eppure, nel 2007, l’incursione spagnola aveva apportato circa 60 dei 70 milioni di marginalità in più rispetto al 2006, in una società sostanzialmente ferma, con utili invariati a 220 milioni di euro. Tanto che, sempre nel 2006, l’assemblea aveva assegnato al management deleghe per aumentare il capitale sociale fino a 800 milioni. E come Mediaset, che ha chiuso in rosso per la prima volta nella sua storia, la Spagna ultimamente è stata avara di soddisfazioni.
Il salotto buono di Rcs. Fonte: Rcs
Nel corso della presentazione dei risultati 2012, l’amministratore delegato delle Generali, Mario Greco, ha sottolineato che il Leone non ha più partecipazioni strategiche, affermando la volontà di valutare gli investimenti in base al ritorno. Significa che l’adesione del Leone sarà subordinata al giudizio del top manager sulla bontà del piano messo nero su bianco da Jovane nei giorni scorsi. Assieme a Telco, Rcs è il primo vero banco di prova per testare l’indipendenza di un amministratore che, in una delle sue prime interviste (al Financial Times), ha affermato con chiarezza: «Il board (di Generali, ndr) era consapevole che non sarei stato una buona scelta se l’idea era quella di avere qualche azionista che dettava la linea». Proprio oggi, peraltro, il Leone ha chiuso il collocamento presso investitori istituzionali del 12% della controllata Banca Generali, incassando una plusvalenza di 143 milioni con il titolo ai massimi da un anno (+43,26%). Ovvero, nessun editore di riferimento si paleserà mai all’orizzonte a meno di rendere la società contendibile, come ben sanno imprenditori di lungo corso quali i Pesenti, i Benetton e i Merloni.
«Sarebbe più realistico prendere atto che questo patto di sindacato che governa Rcs mostra ormai la corda, anche perché tre o quattro azionisti fuori patto assorbono quasi tutto il resto del capitale. Così com’è, questo patto andrebbe sciolto. Ma il dopo è tutto da costruire. In teoria, la strada maestra sarebbe quella di riaffidare al mercato la contesa per il controllo del Corriere», riflette l’ex presidente di Generali, Cesare Geronzi, in Confiteor, libro-intervista scritto con Massimo Mucchetti, ora senatore Pd. Se il flottante di Rcs è talmente esiguo che per alterarne l’andamento in Piazza Affari bastano 5 milioni di euro e lanciare un’Opa comporta un esborso di soli 300 milioni, i quattrini oggigiorno scarseggiano anche tra i power broker.
Sempre in Confiteor, Geronzi racconta che l’idea di uno scioglimento del salotto buono è «un auspicio e una previsione. Ma con un codicillo: non è detto che, venuto meno questo patto, in mancanza di soluzioni migliori, non possa essere saggio ricostituirne un altro, più adatto ai tempi e alle forze in campo, ma sempre con l’obiettivo di evitare a qualche “furbetto” di prendersi il Corriere». Un’eventualità che fa inorridire il mercato.
Il primo azionista all’interno del patto rimane Piazzetta Cuccia, il cui management è impegnato in un difficoltoso piano industriale che vedrà la luce a giugno e comporterà molto probabilmente la fusione di CheBanca! con Compass. Nel quadro della riduzione del perimetro di attività degli isituti di credito, la patata bollente è nelle mani dell’amministratore delegato di Mediobanca – principale azionista delle Generali – Alberto Nagel. Fonti interne raccontano a Linkiesta che l’orientamento, per ora, è restare, ma con un nuovo piano industriale rispetto a quello di Jovane.