Il discorso del Re Giorgio: emergenza e responsabilità

La bussola politica. Oggi il giuramento di Napolitano

E’ la settimana del discorso di Napolitano e del suo monito ai partiti, la settimana delle consultazioni lampo e forse – forse – di una molto problematica formazione del governo. Il neo rieletto Giorgio Napolitano parlerà oggi e il suo intervento di fronte alle Camere sarà tutto rivolto alle forze politiche, al Pd imploso e a un Silvio Berlusconi che il presidente della Repubblica conosce troppo bene per potersene fidare fino in fondo. Quello del presidente sarà un discorso forte che ruoterà fisso intorno a due cardini, l’idea di “emergenza” e quella di “responsabilità”. Il Quirinale intende formare un governo, con ampia partecipazione di esponenti politici, un governo del presidente capace di mettere in campo rapidamente e con efficacia dei provvedimenti anticrisi (e anche la riforma elettorale). Non importa chi sarà il presidente del Consiglio (in pole position c’è Giuliano Amato, subito dietro Enrico Letta), ma dal punto di vista di Napolitano conta soprattutto “come” i partiti si comporteranno: stavolta non potranno in alcun modo rinunciare alle loro responsabilità, a una partecipazione piena all’attività dell’esecutivo. Non si potrà ripetere lo schema del governo Monti, sostenuto dai partiti ma senza che i partiti ci abbiano mai messo davvero la faccia. A Pd e Pdl sono già state consegnate delle bozze, dei suggerimenti, degli schemi elaborati dagli uffici del Quirinale. Assieme al lavoro dei dieci saggi, al dossier sulle riforme necessarie e urgenti, queste pagine costituiscono l’impalcatura sulla quale Napolitano intende costruire il profilo (e il programma) del nuovo governo. Il suo governo.

Le consultazioni non saranno lunghe, ma molto difficili. Il Pd appare acefalo e si presenta in questa nuova fase come un interlocutore inafferrabile: quanti Pd esistono dentro il partito apparentemente unico? E chi è il leader? Gestire questo mondo sfilacciato sarà un problema grosso per Napolitano già raggiunto ieri dai distinguo, per esempio, di Rosy Bindi, il presidente dimissionario del partito che ha posto una serie di limiti alla partecipazione del Pd al prossimo governo. Il percorso è dunque in salita e difficilmente Napolitano potrà accettare condizioni da chi che sia: il presidente è rimasto al Quirinale per somministrare ai partiti una cura forzosa, e non ha voglia – né tempo – di farsi logorare dalle schermaglie. Ma nel partito democratico è già cominciato il congresso, e ciascuna delle sue anime, delle sue correnti, vive il processo di formazione del prossimo governo come una conta interna, come un passaggio decisivo del conflitto per il controllo di quel che resta del partito. Persino Matteo Renzi, il giovane sindaco in ascesa, ha messo in conto la possibilità di giocare per linee interne, coltiva come riserva, come piano B, l’idea di una propria candidatura alla segreteria. E questo, ovviamente, non fa che complicare lo scenario, le variabili, e il complesso del lavoro di tessitura che Napolitano si troverà prestissimo tra le mani.

Anche Berlusconi sarà un problema. Il Cavaliere è ringalluzzito dai sondaggi e non crede ai propri occhi: il Pd cola a picco nelle rilevazioni, e lui ha di fronte a se un’autostrada sgombra verso la vittoria elettorale. Vorrà costituire davvero un governo, come dice, o preferirà forse non correre rischi e puntare alle elezioni anticipate? E se alla fine dovesse accettare l’idea del governo, che genere di governo pretenderà? Forse un esecutivo lampo, preposto alla sola funzione di modificare la legge elettorale in modo tale da rendere certa la governabilità. Un’opzione comunque finalizzata alle urne anticipate. D’altra parte lo scenario è particolarmente propizio per il Pdl e per il suo leader. Berlusconi adesso deve solo decidere come capitalizzare meglio l’inaspettato successo: è riuscito a eleggere un presidente della Repubblica non ostile e, contemporaneamente, ha assistito pure all’auto affondamento del suo principale avversario, il Pd. Non solo. Gli ultimi sondaggi danno il Pdl in testa di 5 punti anche al Senato. E Berlusconi ha per la prima volta superato Renzi nell’indice di gradimento. Insomma vincerebbe le elezioni anche contro il più giovane sindaco rottamatore. Di fronte a se il Cavaliere vede solo un derby populistico con Beppe Grillo, partita che tuttavia lui non teme affatto perché – sono le sue esatte parole – «con quello si vince facile, basta dire più cazzate di lui». Così ora, alla corte di Arcore, c’è chi dice “al voto, al voto”. Ma il Cavaliere dissimula.

Di fronte a un Pd disfatto, e al solito Berlusconi, Napolitano ha interesse a mettere le cose subito in chiaro. E per questo oggi il discorso alla Camere sarà duro, senza sfumature, inequivocabile. L’anziano presidente ha accettato di restare al Quirinale alla sola condizione che Pd e Pdl lo facciano lavorare, non accetterà pasticci, contorsioni e furbizie. Dunque questa settimana sarà decisiva per capire il destino della legislatura matta venuta fuori dalle elezioni di febbraio. Così l’Italia in crisi rimane ancora sospesa tra elezioni e stabilità. Il paese stanco si riaffida all’anziano Napolitano con qualche debole speranza. Eppure, rispetto a qualche settimana fa, non è cambiato nulla nella disponibilità del Parlamento e delle due principali forze politiche incapaci di collaborare. Pd e Pdl continuano infatti con i loro giochi pericolosi.

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