Il centrosinistra romano aveva già scelto il suo salvatore della patria pronto a riprendersi la Capitale: Nicola Zingaretti. Ma da eterno candidato sindaco di Roma (e, seppur con meno eternità, ogni tanto candidato alla segreteria nazionale del partito), l’allora presidente della Provincia decise, nell’ottobre scorso, causa «emergenza democratica», di virare sulla Regione Lazio. Per «fare piazza pulita del malaffare» e dei Fiorito al potere, aggiunse, lasciando Pd e soci senza re. Come risolvere il problema? Con delle incasinatissime primarie, che si terranno domenica 7 aprile, dalle 8 alle 20. I candidati sono sei, quattro del Pd e due della sinistra (Sel e Socialisti); il partito più in difficoltà e frammentato è quello di Bersani, che mette in campo David Sassoli, Ignazio Marino, Paolo Gentiloni e Patrizia Prestipino.
Tutti hanno supporter importanti ma i favoriti sono i primi due. L’europarlamentare ed ex vice-direttore del Tg1 è sostenuto da chi è più vicino all’ex-capogruppo Pd alla Camera Enrico Franceschini e dal capo dei dalemiani romani, il capogruppo in Comune Umberto Marroni, mentre il senatore-chirurgo è appoggiato da Goffredo Bettini, padre-padrone del partito a Roma, nonché dalla parte del partito che fa capo a Zingaretti. Da non sottovalutare però la possibile performance dell’ex ministro delle Telecomunicazioni: rispetto agli altri due, il renziano Gentiloni è senza apparato ma conta su comitati del Rottamatore nati durante le primarie, società civile ed ex-Margherita che un tempo stavano con Sassoli.
Da giorni i candidati stanno litigando su tutto, l’ultima pesante discussione è avvenuta sui manifesti elettorali abusivi, un grande classico delle campagne elettorali della Capitale; colpa del comitato di Sassoli, che ne ha fatti affiggere diversi fuori posto. «Credo che Sassoli farebbe bene a ritirarsi, perché ha mentito ai romani» dice Marino. «Lui disse che non avrebbe mai utilizzato i manifesti per la sua campagna e poi, invece, l’ha fatto come quel ministro (il riferimento è a Scajola, ndr) che ha detto “se trovo i colpevoli che mi hanno pagato la casa, io li denuncio”, così Sassoli ha detto “se trovo chi ha appeso i miei manifesti dovrà rispondere a me”. È davvero sorprendente forse lui era impegnato nel suo ruolo di capogruppo a Bruxelles e non si è accorto che, a Roma, c’era la campagna elettorale».
A un certo punto, nel corso di una campagna elettorale per le amministrative, spunta sempre fuori l’accusa all’avversario di scarsa conoscenza della città; vuoi perché l’aspirante sindaco è un “forestiero” o perché ricopre incarichi altrove. Marino, per dire, è di Genova ed è eletto senatore in Piemonte (e, evidentemente per rimediare, ha scelto «Daje» come slogan). Sassoli è di Firenze ed è capo della delegazione del Pd a Bruxelles. «Comprendo il nervosismo del senatore – ribatte Sassoli – che non conoscendo Roma tenta in tutti i modi di trasformare in rissa quello che dovrebbe essere un confronto sui problemi della città». Contro Sassoli si è scagliato anche il comitato di Gentiloni con un ricorso alla commissione di garanzia delle primarie. La quale ha diffidato il giornalista europarlamentare «a non reiterare comportamenti che potrebbero ledere l’immagine della coalizione». Non solo, la commissione ha poi richiamato i candidati a usare toni meno offensivi.
Ma gli scontri vanno forte anche su Twitter, in attesa del confronto che si terrà il prossimo quattro aprile alle ore 13 e che sarà trasmesso in diretta da YouDem. Al centro della rissa, sempre i manifesti: venerdì sera se le sono date, a colpi di tweet, Luciano Nobili del comitato di Gentiloni e Sassoli, che poi ha cancellato un cinguettio su Renzi.
Adesso, il rischio più concreto, di fronte allo sfaldamento di un partito dotato sempre meno di classe dirigente locale («Sono tutti eletti in Parlamento e hanno ruoli nazionali» è una delle frasi più ricorrenti nel Pd romano; il riferimento non è solo ai candidati alle primarie ma anche al segretario Marco Miccoli e a Marroni, eletti deputati a febbraio), si chiama Movimento 5 Stelle, che alle elezioni di maggio candida Marcello De Vito, avvocato civilista scelto online con 533 voti. Il rischio che a Roma vinca il Movimento è stato paventato, qualche giorno fa, alla direzione del Pd, anche dall’ex vice-sindaco Walter Tocci: «Su Roma, la prossima battaglia di grande impatto politico nazionale. I soliti professionisti della sconfitta sono alacremente al lavoro giorno e notte. Tutto lascia prevedere che andremo al ballottaggio con il candidato grillino che a quel punto potrebbe essere votato anche dalla destra con un effetto Parma».