Si chiamava John Robertson. Era un soldato, un padre di famiglia, un “vero americano”. Nel 1968, venne mandato in Laos, per combattere una delle guerre più sfibranti della storia recente. Non fece mai ritorno a casa. Tutti pensavano fosse morto – killed in action, recita la lista con i nomi di tutti i Marines dispersi o caduti in battaglia. Il destino del Sergente Robertson, però, sembra avere preso una piega differente, almeno stando a sentire quanto afferma oggi un regista di Edmonton, Michael Jorgenson.
Jorgenson, infatti, dice di aver incontrato Robertson pochi mesi fa. In Vietnam, in un piccolo villaggio rurale. Secondo il film-maker americano, l’ex soldato ha dimenticato quasi tutto il suo passato – non parla inglese, non ricorda il giorno del suo compleanno, non conosce i nomi dei figli che, in quel lontano ’68, aveva dovuto abbandonare per seguire la chiamata dell’esercito. Eppure, Jorgenson non ha dubbi: quell’anziano signore vietnamita dall’aspetto “occidentale” è proprio Robertson, che oggi ha 76 anni. Il 2013, dunque, sarebbe per lui il 44esimo anno di permanenza nel sud-est asiatico.
La storia di Robertson è diventata il fulcro narrativo di “Unclaimed“, un documentario presentato a Toronto nei giorni scorsi. Il protagonista del film è Tom Faunce, veterano di guerra che ha deciso di dedicarsi all’aiuto del prossimo, e che da un paio d’anni sta cercando di riavvicinare il sergente “dimenticato” in Vietnam con la sua famiglia. All’inizio, Jorgenson era scettico: solo quanto si è recato sul posto per conoscere Robertson di persona, ha capito che invece era tutto vero. Anche Jean, la sorella ottantenne del soldato, è stata nel villaggio per riconoscere il fratello. E ha confermato: “Non ci sono dubbi, è proprio lui”.
Moglie e figli, invece, hanno declinato l’invito, scegliendo anche di non effettuare un test del DNA per provare definitivamente la sopravvivenza di Robertson. “Forse non vogliono rivangare il passato”, ha spiegato il regista, che comunque non si spiega “che cosa potrebbe spingere delle persone a non voler riconoscere il proprio padre biologico”. Durante le riprese del documentario, il regista ha inoltre dichiarato di aver incontrato una certa resistenza da parte dei portavoce dell’esercito Usa. “Non sono i vietnamiti ad averlo trattenuto lì; è il governo americano a non averlo voluto indietro”, avrebbe rivelato una fonte americana durante le riprese.
Un mezzo mistero dai contorni sfocati, quello che aleggia attorno all’anziano americano che il destino ha trattenuto a tredicimila chilometri di distanza dalla sua patria. Sfocati, un po’ come i contorni della sua memoria, che però non è svanita del tutto: Robertson ricorda di essere nato in Alabama e di essere arrivato in Laos come soldato nel 1968. Il documentario si conclude con il ritorno di Robertson a casa. L’uomo, affetto da demenza, riconosce i luoghi della sua infanzia. E riconosce il marito della sorella, dopo tanti anni: “Mi ricordo di te, lavoravi in una drogheria”. gli dice. La sua voce è ferma, nonostante tutto. Ma non parla in americano. Non più.