È stata una Pasqua ansiosa, quella dei cittadini sloveni. Passata a scorrere con lo sguardo le notizie sulla crisi di Cipro, che a Ljubljana la gente considera ormai un’anticipazione di quello che l’attende. Non che tali preoccupazioni siano mancate negli ultimi mesi: da questo punto di vista, la notizia di un possibile crack sloveno è questione nota, visto che già a luglio 2012 i ministri del governo Janša, recentemente dimessosi, ne ammettevano apertamente la possibilità.
Ma gli spettri di quanto sta accadendo a Nicosia hanno acceso l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale e dei mercati su questa piccola repubblica, poco più di due milioni di persone al confine orientale con l’Italia, le cui finanze versano in condizioni preoccupanti quantomeno dalla primavera scorsa, fiaccate dai debiti del settore bancario (7 miliardi di euro, circa un quinto del Pil nazionale) e dalla recessione economica (-0,2% nel 2011; -2% nel 2012 secondo l’ufficio nazionale di statistica).
Il Paese è tornato così precipitosamente sotto le forche caudine dei mercati, dopo che in un trimestre (a partire dallo scorso ottobre) la situazione sembrava essersi stabilizzata. Da dicembre scorso, il rendimento dei bond decennali sloveni si era mantenuto a livelli tranquillizzanti, tra i 4,5 e i 5 punti percentuali. Nella scorsa settimana, tuttavia, esso ha cominciato ad aumentare fino a toccare, nella giornata del 28 marzo, un massimo del 6,75%, andamento che, di fatto, è praticamente identico a quello portoghese, e che si avvicina pericolosamente al tasso, ritenuto speculativo, del 7 per cento.
«La Slovenia si sta dirigendo inevitabilmente verso il bailout», ha dichiarato Tim Ash, analista di Standard Bank per i mercati emergenti, che ha aggiunto: «Con la questione di Cipro, l’Unione europea si è letteralmente sparata sui piedi». Secondo la maggior parte degli analisti, l’ultima recente crisi ha acuito quella di Ljubljana, che quindi potrebbe avere maggiori difficoltà a trovare autonomamente le risorse di cui ha disperatamente bisogno per rifinanziare il proprio sistema creditizio: secondo il Fondo monetario internazionale, si parla di circa tre miliardi di euro per il 2013. L’emissione, a dicembre dello scorso anno, di bond decennali in dollari ha aiutato parzialmente a coprire tale fabbisogno, per circa 1,6 miliardi di euro. Ma non è sufficiente. L’emissione di un nuovo bond si è resa necessaria e le condizioni imposte ora dai mercati potrebbero diventare rapidamente proibitive per la Slovenia. «Il mercato si sta muovendo contro Ljubljana», ha concluso Ash. «E sarà molto difficile per il Paese riuscire a finanziarsi evitando l’intervento della Troika».
«Slovenija ni Ciper»
Se la Slovenia ha risentito negativamente della tensione sui mercati delle scorse due settimane, tuttavia, è necessario dire che questo non comporta automaticamente il ricorso al bailout. I margini di manovra si stanno restringendo, ma esistono; e in molti hanno cercato di sottolineare con forza il concetto che Slovenija ni Ciper, la Slovenia non è Cipro, e che i due casi sono sostanzialmente diversi. L’ultimo ad averlo fatto, in ordine di tempo, è stato il neoeletto governatore della Banca centrale slovena, Marko Kranjec: «Non saremo costretti al bailout», ha affermato, «perché i sistemi bancari dei due paesi non sono comparabili e rappresentano proporzioni totalmente diverse del rispettivo Pil. Le nostre difficoltà sono state causate da una politica creditizia eccessivamente espansiva nel periodo dal 2004 al 2008, ma non c’è nulla che non siamo in grado di risolvere autonomamente».
«La Slovenia non è Cipro, condividono al massimo lo stesso destino», ha sottolineato con forza il principale quotidiano economico del Paese, Finance, che non ha esitato a definire il paragone “un mero esercizio retorico”. L’unica cosa che accomuna i due paesi, di fatto, sarebbe la circostanza di essere in bancarotta.
Mentre Cipro diventava un paradiso fiscale, il modello di sviluppo sloveno si basava piuttosto sull’industria e sulle esportazioni: negli anni del boom, se il settore finanziario cipriota incrementava fino a raggiungere il 700% del Pil, quello sloveno cresceva di circa il 50 per cento. Le attuali perdite, ammette il quotidiano, rappresentano «un problema significativo per la Slovenia, ma restano un importo minore se confrontate ai problemi finanziari che hanno avuto l’Islanda, l’Irlanda o, per l’appunto, Cipro».
L’autore dell’analisi, Jože Damijan, sottolinea come questi problemi avrebbero potuto essere affrontati in passato. Se la Slovenia si trova ora a dover far fronte a una situazione di gravità eccezionale è per colpa del governo Pahor (2008-2012) e dell’allora ministro delle Finanze, Franc Križani, che in un momento di crisi dilatarono la spesa pubblica del 3 per cento; e per colpa delle recenti decisioni dell’ex premier Janez Janša, che invece di ristrutturare immediatamente gli istituti di credito più indebitati (Nova Ljubljanska Banka e Nova Kreditna Banka Maribor, soprattutto) e creare una bad bank per assorbire le perdite del settore, ha preferito procedere nell’estate del 2012 a nuove iniezioni di capitale, non risolvendo per niente il problema e perdendo tempo prezioso. «La Slovenia può uscire da questa situazione», conclude Damijan, «ma deve agire immediatamente: il prossimo mese sarà cruciale».
Lo stesso ottimismo di fondo, per quanto non esente da toni allarmati, è condiviso anche da molti osservatori internazionali. Fra questi, la Commerzbank tedesca, che in un recente rapporto stima che la Slovenia disponga della capacità necessaria per ripianare le proprie perdite attraverso finanziamenti privati. Un ulteriore vantaggio per Ljubljana è il livello ancora basso del debito pubblico, che ora si attesta al 48% del Pil, contro il 77,4% della Spagna, l’84% di Cipro o il 120,3% del Portogallo. Un valore che assicurerebbe al governo dei margini di manovra sufficienti. Anche la francese ‘Crédit Agricole’, per quanto riconosca l’esistenza di una difficile situazione finanziaria, ritiene “prematuro” il ricorso al bailout.
«Fate in fretta»
Per ora quindi la Slovenia si mantiene sulla linea di galleggiamento. E può restarci, a patto che le autorità “facciano in fretta”. Il nuovo governo, appuntato solo una decina di giorni fa e guidato da Alenka Bratušek di Slovenia Positiva, è chiamato ad approvare delle riforme non più rinviabili. Tra queste, la principale è sicuramente la creazione di una bad bank necessaria ad assorbire le perdite del settore. Proprio tale misura era stata l’oggetto di un estenuante braccio di ferro alla fine del 2012 tra l’allora maggioranza di Janez Janša e Slovenia Positiva, totalmente contraria al progetto.
Ora il nuovo governo sembra aver accettato la realtà dei fatti e ha raggiunto un accordo sul tema: la bad bank si farà, anche se in una forma edulcorata. Oltre a questo provvedimento, altre misure potrebbero riguardare l’innalzamento dell’Iva; la riduzione del salario dei dipendenti pubblici e la riduzione di circa il dieci per cento del loro organico; la privatizzazione di alcune importanti imprese controllate dallo Stato come Triglav nelle assicurazioni, o Petrol per l’energia.
Alenka aveva promesso una nuova politica di crescita e la fine dell’austerità, ma per ora sembra che questi progetti debbano essere accantonati in favore di un approccio più pragmatico. Il tempo stringe. «È di vitale importanza che il Paese emetta dei nuovi bond prima del 6 giugno, per un valore di almeno 1 miliardo di euro», ha dichiarato martedì Janša. In quella data dovrebbero giungere a scadenza i bond a diciotto mesi emessi nel dicembre 2011. Per allora, il Paese dovrà trovare i 907 milioni di euro necessari. Bratušek, seppur indirettamente, ha avvalorato la tesi del proprio predecessore e avversario politico. «La Slovenia dispone della liquidità necessaria per far fronte ai propri impegni», ha dichiarato in Parlamento, avendo però cura di precisare: «Almeno fino a quest’estate».