Uno dei più importanti elementi su cui puntare per far ripartire l’Italia, oltre che uno dei problemi forse più pressanti per i nostri giovani è senza dubbio l’istruzione.
Spiace che la nostra scuola, luogo in cui si formano le conoscenze e gli strumenti cognitivi necessari per la realizzazione personale e sul mercato del lavoro sia molto spesso la grande assente del dibattito pubblico. Spiace particolarmente perché, preveniamo i lettori, l’istruzione in Italia non versa in un buono stato di salute.
Le nostre scuole primarie e secondarie inferiori sembrano funzionare in maniera più che buona nel confronto internazionale, mentre la maggior parte dei problemi si annida nelle nostre scuole superiori. In pochi anni, studenti che sembrano avere una buona dose di conoscenze perdono posizioni drammaticamente, se comparati ai “colleghi” in paesi simili al nostro.
Dal 2000 l’Ocse, in collaborazione con i paesi membri ed altre economie avanzate, ha lanciato un programma internazionale di valutazione degli studenti 15enni, il Program for International Student Assessment (PISA) i cui risultati sono una miniera di informazioni utile sia per gli operatori del settore che per i così detti policy makers. (1)
Le scuole superiori italiane, secondo l’ultima indagine PISA disponibile, non eccellono nel contesto internazionale. Il grafico 1 mostra i risulati per i test di comprensione del testo e di matematica. In entrambi il nostro paese si situa ben al di sotto della media Ocse, soprattutto per quanto riguarda il secondo indicatore.
Grafico 1. Performance media nei paesi Ocse
Il valore medio nasconde però fortissima varianza regionale.
Come mostrato dal grafico 2, il range di variazione fra le regioni italiane è simile a quello osservato fra il paese Ocse più performante, la Corea, e quello meno performante, il Messico. La differenza fra Nord e Sud è abissale. Seppure con qualche lieta eccezione – la Puglia – anche i risultati scolastici sembrano descrivere un paese spaccato nettamente in due, con alcune punte di eccellenza (Nord-Est, Valle D’Aosta, Lombardia) seguite da vere emergenze (Calabria, Campania e Sicilia su tutte). A solo titolo di curiosità la Calabria, la regione italiana meno perfomante, si situa non troppo distante da paesi come la Serbia e la Bulgaria, che con tutto il rispetto hanno un livello di PIL pro-capite nettamente distante da quello italiano.
Grafico 2. Performance media nelle regioni italiane
Ma quali sono le principali determinanti di questi risultati non particolarmente brillanti?
Nell’analisi dell’Ocse, ciò che balza all’occhio è il grado allarmante di disomogeneità fra istituti.
Esiste un forte effetto di selezione degli studenti nelle scuole; queste ultime risultano composte per lo più di studenti con background sociali ed economici simili e per di più con risultati altrettanto simili all’interno di scuole similari. Come mostrato dal grafico 3, l’Italia ha indici di inclusione accademica (segregazione itellettuale) e sociale (segregazione economico-sociale) al di sotto della media. (2)
I due fenomeni sono ovviamente correlati – fenomeno ben descritto dalla nuvola di punti nel grafico – ma l’Italia appare un outlier quantomeno per il primo.
Grafico 3. Inclusività accademica e sociale nei paesi Ocse
La storiellina delle scuole di grado A e B, tanto cara ai nostri politici, non è un qualcosa da evitare o da sollevare come spauracchio ad ogni tentativo di riforma: è una situazione da cui uscire, visto che pare già essere la norma del nostro sistema d’istruzione.
Parte di questo fenomeno – come già detto – scaturisce dalle differenze territoriali, ma pare non esaurirlo. Le scuole nelle grandi periferie, nelle zone disagiate, soffrono degli stessi tipi di problema. In questi casi, per migliorare la situazione, ci si dovrebbe concentrare innnanzitutto sul miglioramento del processo di selezione degli studenti – in modo che siano formate da campioni simili all’intero spaccato di società sottostante – e in secondo luogo nell’investire risorse ed esportare best practices nelle scuole con performance sotto la media. Non si può certo addossare alla “concorrenza” fra istituti questo stato di cose, visto che la concorrenza in pratica non esiste.
Per quanto riguarda le risorse utilizzate, vale la pena menzionare le caratteristiche organizzative degli istituti che sembrano correlate con le condizioni socio-economiche medie delle scuole ovvero: il rapporto studenti/personale docente, la percentuale di docenti certificati, e la percentuale di professori laureati.
Scuole svantaggiate da un punto di vista sociale hanno un rapporto alunni/professori più favorevole, tuttavia questi ultimi sembrano in media meno preparati (o certificati) di quelli in scuole “migliori”.
È abbastanza sorprendente: il flusso di risorse aggiuntivo investito giustamente in personale docente nelle scuole più svantaggiate sembra non dare i frutti sperati, vista la differenza nei risultati. Non sarà che vi è un problema di qualità di insegnamento, più che di spesa?
Anche la dotazione fisica di hardware descrive lo stesso fenomeno: le nostre scuole svantaggiate investono più che proporzionalmente in supporto tecnico-didattico. Quindi il gap di capitale fisico non sembra supportato dai dati (sebbene altri paesi abbiano in realtà coefficienti più alti) Ma in un contesto di vincolo di bilancio stringente, ciò dovrebbe essere prioritario è la valutazione – anche draconiania – dell’insegnamento. Se ci sono pochi soldi da spendere meglio farlo in attività con alti ritorni, visto che i soldi spesi sinora non sembrano aver chiuso di molto il gap esistente.
È bene sottolineare che non serve spendere molto di più. In media nel 2009 in Italia la spesa media per studente nel ciclo secondario superiore era leggermente al di sotto della media Ocse (9000$ PPP vs 9700$).
Il Giappone, con 9500$ forma studenti ben più preparati di quelli italiani, situandosi nei primi posti in questa classifica. Gli indicatori di outcome presentati, invece, sottolineano la estrema polarizzazione esistente nelle nostre scuole: alcune eccellenti, per lo più formate da studenti altrettanto bravi e con docenti e modelli organizzativi funzionali; altre scadenti, composte da studenti svantaggiati, caratterizzate da organizzazioni scadenti e corpo docente da rivedere. Una situazione inaccettabile se abbinata alla constatazione che ciò è in gran parte dovuto a differenze territoriali.
Migliorare il capitale umano al Sud e in generale laddove è scadente dovrebbe essere una delle priorità di qualsiasi governo. Ma non è cosi, e il gap di produttività è lì a ricordarcelo.
Note:
(1) Gli ultimi risultati disponibili si riferiscono al 2009, sebbene nel corso dell’ultimo anno è stata lanciata una nuova inchiesta i cui risultati sono attesi per la seconda metà del 2013. L’indagine si basa su test pisco-attitudinali che misurano il grado di conoscenze degli studenti per quanto riguarda la comprensione del testo, la matematica e le scienze. Non si tratta di meri test nozionali, ma piuttosto di misure dell’utlizzo delle nozioni e dei sistemi congnitivi nell’ambito del cosiddetto problem-solving. I risultati personali dei test hanno dimostrato di essere un predittore abbastanza affidabile della bontà o meno del proseguio degli studi, nonché del successo personale sul mercato del lavoro.
(2) Il primo indice cattura il cosidetto grado di inclusione verticale: la parte di variabilità nei risultati spiegata dalla composizione accademica delle scuole. Se una scuola A – con ottimi risultati – ha test in media più elevati di una B – con risulati pessimi – e nello stesso tempo la maggior parte della variabilità è dovuta alle differenze fra risultati fra scuole e non dalla variabilità dei risultati degli studenti all’interno di ogni scuola si pùo ritenere che si sia in presenza di una “segregazione intellettuale” in scuole formate da studenti più o meno simili in quanto a risultati. Il secondo indice invece cattura il grado di inclusione orizzontale, ovvero quanta parte nella variabilità delle condizioni socio-economiche è dovuta alla differenza media fra scuole, rispetto alla variabilità personale degli studenti in ogni singola scuola. Un indice basso denota la presenza di scuole formate da studenti piuttosto simili in quanto a condizioni socio-economiche, ovvero si è in presenza di una “segregazione economico-sociale”.