Se davvero, come si vocifera in queste ore – e come chiede apertamente Silvio Berlusconi – Enrico Letta punta a “rinegoziare” con Bruxelles gli impegni italiani sui conti pubblici non sarà una partita facile. Tutt’altro, la Commissione è anzi piuttosto inquieta per la lunga serie di promesse avanzate da Letta nel suo discorso alla Camera. Il neopremier avrà occasione di verificarlo giovedì mattina, quando, praticamente all’alba, incontrerà il presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso accompagnato dal commissario agli Affari economici Olli Rehn.
Conferenza stampa prevista – dopo l’incontro – alle 8,40 del mattino, significa che il presidente del Consiglio arriverà al più tardi alle sette del mattino al palazzo Berlaymont, sede dell’esecutivo Ue. Un orario, a dire il vero, piuttosto bizzarro per una “prima” di un nuovo capo di governo a Bruxelles. Lo stesso, peraltro, sarà il giorno prima – primo maggio, quando tutto è chiuso per la Festa del Lavoro – con il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, che Letta vedrà a cena non a Palazzo Justus Lipsius (chiuso, appunto, per la festività), ma nella residenza del rappresentante permanente d’Italia.
Il fatto è che, lo dicevamo, Bruxelles lascia trapelare qualche perplessità per la lunga lista di – costose – promesse elencate da Enrico Letta nel suo discorso di fronte alla Camera dei Deputati. Alla Commissione non sono sfuggiti i primi, approssimativi calcoli sui costi, apparsi su vari giornali italiani, tra i 10 e i 20 miliardi di euro. L’Italia, che aspira, il 29 maggio, a vedersi chiudere la procedura per deficit eccessivo, è già stata avvertita dal commissario agli Affari economici Olli Rehn che quel deficit al 2,9% del Pil stimato per il 2013 dal governo Monti (in crescita dalla precedente stima del 2,4% per via dell’avvio dei pagamenti dei debiti pregressi delle pubbliche amministrazioni) è davvero il massimo. E che deve essere chiaro un percorso in discesa per i prossimi anni.
Rehn, formalmente, si dice tranquillo, in realtà lo è molto meno di quanto vuol far credere. Soprattutto non lo tranquillizza – anche se mai lo confesserà apertamente – la presenza del Pdl nel governo e soprattutto la forte influenza di Silvio Berlusconi che ha incentrato tutta la campagna elettorale contro Bruxelles e Berlino. E che ora lancia il grido del “rinegoziamo tutto”.
Oggi è toccato al portavoce del commissario, Simon O’Connor, rispondere alle pressanti domande dei cronisti. «L’Italia – ha dichiarato – ha affermato con chiarezza che vuole mantenere i suoi impegni presi nei confronti dell’Ue». Quanto a Bruxelles, ha spiegato il portavoce di Rehn, la posizione resta che «target e obiettivi rimangono quelli concordati. Abbiamo piena fiducia nel nuovo governo, che ha affermato chiaramente l’intenzione di rispettare gli obiettivi del Patto di stabilità e crescita». Se Letta spera di ricavare almeno parte dei danari necessari per le sue molte promesse, a cominciare dallo stop all’Imu sulla prima casa, con un rinvio di un paio d’anni degli obiettivi di deficit, casca male. Almeno così sembra: «L’Italia – ha sottolineato O’Connor – non è tra i paesi indicati dal commissario Rehn per i quali è previsto un rinvio dei target (ne hanno già beneficiato Spagna, Portogallo, Grecia e a breve toccherà alla Francia ndr). Semplicemente, non ci sono le condizioni». Attenti, insomma, è il messaggio, a studiare bene le coperture delle misure preannunciate: «Aspettiamo di vedere con precisione – avverte ancora il portavoce – quale sarà il piano per elaborare queste nuove misure».
La partita, in realtà, potrebbe giocarsi proprio sulla chiusura della procedura per deficit eccessivo. Se questa avviene, l’Italia rientrerebbe nel cosiddetto «braccio preventivo» del nuovo patto di Stabilità riformato, consentendo ad esempio non di scorporare dai calcoli le spese per investimenti produttivi, ma di ottenere una loro più mite valutazione «politica». Tradotto: se questi investimenti dovessero portare a un discostamento dagli obiettivi di deficit – purché sotto la soglia del fatidico 3% del Pil – potrebbero non portare alla riapertura della procedura. Lo stesso Rehn, del resto, ha fatto capire che Bruxelles è ora pronta a una maggiore elasticità sul fronte del rigore purché si ottenga crescita.
È chiaro però che l’Italia porta avanti una ben più complessa battaglia già cara a Mario Monti, quella della golden rule che è proprio lo scorporo dai calcoli del deficit di determinati investimenti. Su questo, come ha già fatto capire il neo-ministro per lo Sviluppo economico Flavio Zanonato, Palazzo Chigi vuole insistere. Anche se la cosa fa storcere il naso non solo a Rehn, ma anche alla Bce per non parlare dei “rigoristi” del Nord a cominciare dalla Germania. Secondo fonti diplomatiche a Bruxelles, comunque, esiste un documento di lavoro che ipotizza di non conteggiare nel deficit la quota nazionale di cofinanziamento di progetti parzialmente finanziati con i fondi strutturali Ue. Progetti sotto stretta sorveglianza di Bruxelles e specificamente mirati a colmare lacune dello sviluppo economico delle varie regioni Ue. Una pura ipotesi di lavoro, per ora.
Dal colloquio di giovedì a Bruxelles Letta per ora potrà contare di ottenere un sostegno morale, comprensione, incoraggiamento a misure per la crescita e a una riforma del sistema fiscale per sgravare il lavoro, ma anche moniti a stare attento alle coperture delle molte misure. E a non dimenticarsi l’altissimo debito, il 130% del pil, che limita lo spazio di manovra.