Mezzo secolo dei Rolling Stones, in un documentario

Esce “Crossfire Hurricane”

Nel 1962, quando tennero il loro primo concerto al Marquee di Londra, non avrebbero mai immaginato il seguito. Cinquant’anni anni dopo i Rolling Stones sono qui a festeggiare un anniversario incredibile, soprattutto per la vita che hanno vissuto. Mentre fervono i preparativi per l’imminente tour della leggendaria rock band inglese, arriva in Italia il documentario “Crossfire Hurricane” del regista americano Brett Morgen. Sarà proiettato in 300 sale oggi e domani, oltre a uscire in Dvd.

Presentato lo scorso ottobre al London Film Festival e premiato dal settimanale New Musical Express come miglior film musicale dell’anno, “Crossfire Hurricane” è la celebrazione del mito Stones. La scelta di Morgen è di scandagliare a fondo gli archivi, tirando fuori spezzoni di concerti, di interviste d’epoca, di immagini di vita on e off the road. E di realizzare un’intervista esclusiva a tutti i membri, presenti e passati, del gruppo: solo una registrazione audio, però, con le voci che diventano spesso il commento fuori campo delle immagini. Scelta azzeccatissima.

La vicenda degli Stones è raccontata per flash: in un attimo ci si ritrova catapultati nell’eccitazione dei primi anni Sessanta quando un gruppo di ventenni, innamorati alla follia del R&B americano, si ritrovò a passare in poche settimane dal semi-anonimato alla celebrità. L’atmosfera di quei giorni è resa perfettamente dalle scene di isteria e di violenza che si ripetono a ogni apparizione pubblica della band: le ragazze che strillano, si dimenano, svengono sotto il palco, i ragazzi che si scontrano con la polizia e distruggono i teatri. L’immagine negativa del gruppo è accentuata dalle intuizioni del loro manager, il giovanissimo e già scafato Andrew Loog Oldham, che decide di farne gli anti-Beatles. La mossa funziona, il ruolo di «bad guys» è perfetto per gli Stones e per il loro rock’n’roll arrabbiato e vibrante.

Assieme alla fama però arrivano anche i guai. Una pressione inaudita che proviene da più fronti e che Morgen sottolinea come nessun altro era riuscito a fare prima. L’eccessivo calore dei fan, con la band che rischia la vita ogni sera, le pressioni della casa discografica per sfornare in continuazione nuovi hit, l’assillo della stampa scandalistica sono le altre facce della medaglia. Come se non bastasse ci si mette pure la giustizia che non vede di buon occhio un gruppo di capelloni, giudicati un’influenza negativa su milioni di teenager, e attacca frontalmente Mick Jagger, Brian Jones e Keith Richards con arresti e processi a raffica. In “Crossfire Hurricane” si avverte con forza la sensazione di accerchiamento che devono aver provato tre ventenni arrivati dall’oggi al domani a essere considerati allo stesso tempo idoli e nemici pubblici numero uno. Una situazione che non può non avere ripercussioni psicologiche, prima ancora che artistiche.

Il primo a gettare la spugna è Jones che nel 1969 muore annegato, in circostanze mai del tutto chiarite, nella piscina della sua villa. Il 1969 è l’anno che segna uno spartiacque per gli Stones: le immagini del funerale del biondo chitarrista, quelle del celebre concerto ad Hyde Park con il nuovo chitarrista Mick Taylor, e soprattutto la tensione e la violenza dello show ad Altamont, con gli Hell’s Angels che picchiano gli spettatori e uccidono un ragazzo di colore, testimoniano la fine di un’era. 

Gli anni Settanta sono un periodo confuso e caotico. Ma rappresentano anche un nuovo inizio per la band. Per sfuggire al fisco di Sua Maestà il gruppo va in esilio in Francia e, nel caos creativo di Villa Nellcôte in Costa Azzurra, prende forma “Exile on Main Street”, il punto più alto della parabola musicale dei Rolling Stones. C’è poi l’addio di Mick Taylor e l’arrivo di Ron Wood, nuovo chitarrista e compagno di bisbocce di Richards. Un ingresso che, come racconta lo stesso Keith, è una ventata di aria fresca. Da lì in avanti le cose diventano meno pericolose, con nuovi fan e tour sempre più imponenti.  “Crossfire Hurricane” si ferma cronologicamente al 1982, al tour trionfale di “Tattoo You” in stadi stracolmi. Sorvola sugli ultimi trent’anni di vita del gruppo, in cui in realtà – tolto l’addio di Wyman nel 1992, qualche disco (appena sei in studio) e parecchi tour – non c’è molto da aggiungere alla storia di un gruppo che ha completato la propria metamorfosi ed è diventato un fenomeno di culto globale. E’ lo stesso Mick Jagger a ricordarcelo: «Da antieroi siamo diventati un’istituzione».

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