La compagnia petrolifera russa Rosneft, di proprietà del Cremlino, ha acquistato dalla famiglia Moratti il 13,7% di Saras per 178,8 milioni, e si è impegnata a rilevare sul mercato un altro 7,3% della società tramite un’Opa a 1,37 euro per azione. Un premio di circa il 42% sul prezzo medio ponderato degli ultimi sei mesi. La scansione dell’operazione in due fasi – secondo quanto risulta a Linkiesta – è stata studiata dal vicepresidente esecutivo Angelo Moratti, per fare in modo che il mercato apprezzasse. Obiettivo raggiunto, visto che il titolo ha chiuso a 1,04 euro (+6,41%) dopo essere stato sospeso per eccesso di rialzo nel corso della giornata.
L’altro scopo è massimizzare i guadagni borsistici della famiglia Moratti che, secondo i calcoli dell’agenzia Radiocor, dallo sbarco sul listino nel lontano 2006, ha incassato 2,12 miliardi di euro mentre il valore delle azioni si è sgonfiato dai 6 euro dell’Ipo a 1 euro di oggi, per una capitalizzazione pari a 923 milioni di euro. Nel corso dei primi tre anni, infatti, Saras è riuscita a distribuire dividendi (15 cent per azione il primo anno e 17 nei due successivi) che per i Moratti hanno significato incassi per 290 milioni.
L’accordo prevede che i Gianmarco e Massimo Moratti cederanno interamente le quote detenute personalmente, 6 milioni di azioni (il fair value oggi è 8,2 milioni di euro) e che l’accomandita di famiglia scenda dal 62,4 al 50% del capitale sociale. Un preludio, dicono i bene informati, a un progressivo disimpegno anche se, per ora, la maggioranza rimane loro. Intanto lo statuto sarà modificato per consentire l’ingresso nella stanza dei bottoni del consiglio d’amministrazione di un rappresentante della lista presentata dal gruppo guidato da Igor Sechin, oltre alla nomina di un aministratore da parte dei soci di minoranza. Eliminata invece l’esclusione del diritto d’opzione in favore degli azionisti nei limiti del 10% del capitale.
Secondo il preconsuntivo 2012 presentato a fine febbraio, Saras – che non distribuirà dividendi – ha chiuso il 2012 in perdita per 90 milioni di euro (59 milioni nel 2011) con un margine lordo di 173,6 milioni di euro (394,3 milioni nel 2011) e ricavi per 11,9 miliardi (-8% sul 2011), a fronte di svalutazioni per 244,2 milioni, in salita sui 213,3 di due anni fa. Gli investimenti si sono assestati invece a 119 milioni, la quasi totalità (97 milioni) nel settore della raffinanzione. Cala invece il debito, da 653 a 218 milioni.
Se dal lontano 2006 i piccoli azionisti sono ancora in attesa di giustizia sulle responsabilità della quotazione flop, che la procura di Milano, dopo anni di indagini, non è mai riuscita a stabilire, a preoccupare gli analisti sono i risvolti geopolitici dell’operazione. La quale tradisce una debolezza europea nei confronti della Russia, che sembra si stia attivando per conquistare posizioni strategiche nella raffinazione comunitaria. Tanto che proprio oggi anche la Shell ha detto di considerare la vendita di alcune attività di downstream in Italia, tra cui rientrano business rete, aviazione e distribuzione per focalizzarsi sulle attività più competitive del downstream, come recita una nota societaria. Insomma, l’Italia è terra di conquista, i Moratti lo sanno e i piccoli azionisti ci sperano.